giovedì 27 giugno 2013

CONSEGNA ATTESTATI DEL PRIMO CORSO DEL GUSTO

Venerdì 28 Giugno, alle ore 20.00, presso le cantine D'Uva a Larino, si terrà la consegna degli attestati di frequenza del corso "Un Molise divino", primo percorso formativo organizzato all'interno della "Scuola del gusto". Il Dirigente Scolastico, il Prof. Paolo Antonio Santella, e il Sindaco di Larino, l'Avv. Vincenzo Notarangelo, presenzieranno l'evento che si svolgerà in una cornice particolare, la cantina di Angelo D'Uva, produttore sponsor del corso, già meta dei discenti dove hanno appreso i segreti della potatura sotto la guida attenta di Angelo e dei funzionari Arsiam dell'ufficio vitivinicolo di Termoli. Trovate tutto in questo post.
 

Angelo D'Uva durante una lezione del corso
La serata si concluderà con una cena presso l'agriturismo "I dolci grappoli", che fa parte del complesso aziendale, attraverso la degustazione di pietanze della cucina locale accompagnati dai vini di Angelo. Alla stessa parteciperanno gli studenti del corso, i docenti e soggetti impegnati nella filiera vitivinicola, oltre a un'importante e straordinaria testimonianza storica sul Molise enologico e sulla Tintilia, di cui vi sveleremo i contenuti nei prossimi giorni.
 

 
 
 
Sebastiano Di Maria
 
 

giovedì 20 giugno 2013

IL VINO E' GIOVANE, IL MOLISE E' GIOVANE

Ho voluto racchiudere in un solo post diversi aspetti importanti del nostro sistema vitivinicolo, strettamente correlati tra loro, attraverso un'analisi statistica dell'anno in corso operata, tra gli altri, da Nomisma e Agea, che traccia un quadro al chiaro-scuro sull'andamento del settore trainante dell'agroalimentare italiano. A un export in piena salute, con sensibili miglioramenti in diversi paesi extra-UE, fa da contraltare una contrazione delle superfici vitate in molte regioni, figlia, leggendo i risultati dell'analisi, di una pericolosa contrazione del consumo di vino. In pratica, secondo l'analisi di Wine Monitor-Nomisma, beviamo la stessa quantità che esportiamo (consumi a 22,6 milioni di ettolitri, export a 23,3 milioni), mentre solo poco più di vent'anni fa eravamo i secondi consumatori mondiali, dopo la Francia, oggi siamo stati scalzati dagli Stati Uniti che, per fortuna, bevono soprattutto vini italiani, con la Cina che si avvicina a grandi falcate. I dati, infatti, dimostrano un calo di vendita di vino, in volume, soprattutto nel canale Gdo (grande distribuzione organizzata), pari al 3,6% rispetto al 2011, dato confermato anche per il primo trimestre 2013. Secondo gli analisti la colpa non è solo della crisi, ma anche di un calo legato alla popolazione che consuma vino, oggi attestata a circa il 52%, sei punti percentuali in meno rispetto a venti anni fa, pari a circa 1,2 milioni di persone.  Questa riduzione è imputabile, in particolar modo, alle nuove generazioni che consumano sempre meno vino.

Fonte: Corriere Vinicolo
Una contrazione dei consumi interni, naturalmente, ha decretato anche una contrazione delle superfici vitate, come evidenziato dagli ultimi dati rilevati da Agea. In particolar modo, nonostante il regime di estirpazione con premio sia ormai concluso, l'erosione nei vigneti italiani prosegue in maniera inarrestabile, con qualche eccezione, naturalmente. A livello di regioni, infatti, le perdite di superficie maggiori sono riscontrate in Sicilia (-4.000 ettari), Piemonte (-2.500), Emilia Romagna (-2.000) e Sardegna (-1.700), che poi rappresentano una fetta importante delle grandi denominazioni d'origine che la fanno da padrone sugli scaffali della grande distribuzione e, come tali, ha risentito maggiormente della contrazione dei consumi. Da questo dato si sottrae il Veneto (+1.400 ettari) imputabili all'effetto Prosecco, mentre un aumento delle superfici si è registrato in diverse regioni che rappresentano la nuova frontiera del vino. In particolare voglio citarne due vicine alla nostra realtà, la Puglia, regione che tra 2000 e 2011 aveva perso oltre 24.000 ettari di superficie, che invece si sta proponendo in maniera importante nel panorama enologico internazionale entrando, a pieno merito, nella top ten delle mete più famose al mondo per gli enoturisti, secondo la prestigiosa rivista americana Wine Entusiast, e la Campania, culla della viticultura con il vinum falernum e di alcune delle più importanti denominazioni del nostro paese. Realtà come la Puglia e, come del resto, molte realtà dell'Italia meridionale, tra cui anche il Molise, il cui vino, fino a qualche anno fa, andava a tagliare e ad arricchire quelli di altre regioni italiane, ora, in misura sempre crescente e diversa per le singole realtà, rappresenta il valore aggiunto del territorio. In Molise la superficie vitata è rimasta invariata, figlia di un assestamento dopo una contrazione drastica in un passato recente, pari quasi ad un dimezzamento rispetto agli inizi degli anni ottanta, per diversi motivi di cui ho già parlato tempo fa in questo post e in quest'altro. All'aumento della qualità media delle produzioni regionali, anche grazie alla nascita di nuove realtà produttive virtuose che si sono affiancate a realtà consolidate, non corrisponde una giusta opera promozionale che valorizzi l'intero produzione territoriale, cosa su cui lavorano in maniera ossessiva le altre realtà a noi vicine, di cui dovrebbero farsi carico le realtà istituzionali, non ultimo l'inutilizzo perpetuo dei fondi dell'OCM (organizzazione comune del mercato) per la promozione del vino nei paesi extra-UE, di cui ho parlato in maniera approfondita in questo post.

Fonte: Indagine Nomisma
Pur in una situazione non facile come quella appena descritta, l'export del vino italiano registra segni positivi, di cui alcuni in fortissima crescita, in tutti i mercati extra europei, sia per un corretto utilizzo dei fondi comunitari OCM, erogati da Bruxelles per i progetti di export, di cui non c'è traccia per il Molise, sia per un crescente apprezzamento di tutto quello che è italiano sulle tavole di tutto il mondo, dall'olio extravergine alla pasta, dal vino alla cultura, prerogative di cui la nostra Regione non pecca, tutt'altro. La ricerca di nuovi mercati è indispensabile per la sopravvivenza delle aziende, soprattutto perché si beve sempre meno vino, anche per un fatto culturale, e mi riferisco in particolar modo ai giovani, e in tal senso è andato il progetto "Un Molise divino" nell'ambito della "Scuola del gusto". Spulciando i dati di Nomisma, si nota una crescita importante in Svizzera, Stati Uniti, mercati orientali, Cina in primis, Russia e Canada. Non a caso Svizzera e Canada sono stati i mercati segnalati da Pasquale Di Lena in quest'articolo sul suo blog, come possibile target di promozione extra-UE, e che il sottoscritto ha sviluppato individuandone i punti di forza in quest'altro post. La chiave di lettura che ne danno gli analisti di Nomisma è: "Il bilancio dell’export di vino italiano nel primo quadrimestre 2013 è largamente positivo, almeno per quanto riguarda i Paesi Terzi, quelli cioè oggetto di promozione finanziata dall’OCM vino. Segno che questi investimenti continuano a dare buoni frutti sul fronte delle vendite per le nostre imprese. I dati sulle importazioni di vino italiano nei principali mercati extra-Ue (USA, Canada, Cina, Giappone, Svizzera e Russia) segnalano, infatti, una crescita dei valori che nel I quadrimestre 2013 (rispetto allo stesso quadrimestre dell’anno precedente) sono andati da un minimo del +5,4% per il Giappone a un massimo del +71,5% in Russia". Giusto per farci del male, riporto dei contributi pubblicati sul quotidiano Tre Bicchieri del Gambero Rosso riguardo al mercato canadese. Pur essendo un Paese dove gli alcolici sono disciplinati dai monopoli di Stato, il Canada rappresenta un vero e proprio "el dorado" per il mercato enologico del "bel paese", come ribadisce Barbara Philip, del British Columbia Liquor Distribution Branch: “Qui il vino italiano sta vivendo un momento felice, il consumo è focalizzato sui vini di fascia alta, soprattutto sopra i 20 dollari; reggono i grandi classici, soprattutto Barolo e Brunello, ma stanno uscendo bene i vini del Sud. Un consumo strettamente legato allo sviluppo di una ristorazione di primo livello: si cercano vini da varietà diverse e food friendly”. Luc Gauthier, del più grande store Lcbo di Toronto dice: “Negli ultimi anni la nostra selezione di vini italiani si è arricchita soprattutto di vini italiani autoctoni, dal Vermentino al Verdicchio, al Primitivo: negli ultimi giorni gli scaffali del vino Italiano si sono svuotati a una velocità elevata”.


Vigneto di Tintilia ad Acquaviva Collecroce
Come uscire da questa situazione d'impasse e di calo dei consumi? Tali obiettivi possono essere raggiunti solo con lungimiranza e con l'ausilio di quelle poche risorse messe a diposizione da Bruxelles, attraverso scelte oculate e mirate, che mettano i produttori, e la food economy regionale, al centro del progetto, puntando, a mio avviso, tutto sui giovani, che si avvicinano con curiosità e interesse al mondo del vino, sia nella nostra Regione, come certificato dai progetti "Un Molise divino" o "Sorsi di cultura", con le relative testimonianze di cui è pieno il blog e su cui, forse, vi ho tediato oltremodo, ma anche su quelli oltre i confini nazionali. Si tratta di approcci diversi: nel primo caso va rafforzato un legame con il territorio attraverso una crescita di consapevolezza, di un senso d'appartenenza, partendo dalla scuola, educando al gusto e al consumo consapevole, nel secondo caso, invece, educando il gusto e il consumo di vino e delle altre produzioni alle culture e tradizioni locali. L'approccio oculato ed organico ai fondi di promozione comunitari, da aggiungere ad un cospicuo impegno anche delle Istituzioni e dei relativi Consorzi di produttori, devono guidare la Regione fuori da questo "cono d'ombra" attraverso il territorio, le sue produzioni agroalimentari e la sua cultura, per dare un prospetto ai giovani e alle future generazioni. Tutti gli altri investimenti che si paventano, dalle stalle alle stelle, perdonatemi, senza voler fare polemica o appunti tecnici, sono il vecchio.

Sebastiano Di Maria
molisewineblog@gmail.com

 

mercoledì 12 giugno 2013

PANDOLEA: ALTRO RICONOSCIMENTO PER PASQUALE DI LENA

Pandolea, l’associazione che rappresenta le donne dell’olio extra vergine di oliva in Italia, organizza l'evento: A scuola: “un filo d’olio” extra vergine, banco di esperienze per l’istituzione nelle scuole della settimana dell’educazione alimentare. E’ il contributo che le imprenditrici del vero olio Made in Italy vogliono offrire al dibattito in corso sull’opportunità di istituire una settimana di approfondimento in tutte le scuole di ogni grado del Paese sui temi della corretta e sana alimentazione e sulla riscoperta dei valori della sana dieta mediterranea.
 
 

Da una recente indagine dell’osservatorio economico di Unaprol risulta che, nel comparto agricolo, le donne sono aumentate in maniera progressiva negli ultimi anni e oggi rappresentano poco più del 30% degli agricoltori. Sono più recettive nei confronti della multifunzionalità. A livello nazionale il 26% del campione di donne intervistate ha seguito corsi di formazione principalmente  di gestione agronomica ed economica. Spiccano per corsi riguardanti il marketing e la commercializzazione l’Umbria con il 54%, la Lombardia con il 50% e con il 13% la Basilicata. La nuova sfida che le donne di Pandolea si sono ora date è il sostegno a questa iniziativa legislativa di istituzione della settimana dell’educazione alimentare a scuola. L’iniziativa aprirà un dibattito sulla riscoperta delle nostre abitudini alimentari che oggi vengono copiate in tutto il mondo mentre  i nuovi stili di vita impongono sempre più ritmi da fast food.
 
 
Sebastiano Di Maria
 
 

martedì 11 giugno 2013

SORSI DI CULTURA A "ONDA SU ONDA" DI TELEMOLISE

Ecco il servizio completo sul seminario "Sorsi di cultura", nell'ambito del progetto "Scuola del gusto: Un Molise divino", registrato il 17 aprile e trasmesso su Telemolise nel popolare rotocalco Onda su Onda, curato da Antonio Mustillo.



Le immagini della giornata:






Sebastiano Di Maria
molisewineblog@gmail.com

 

sabato 8 giugno 2013

TERREMOTO IN ARRIVO PER LE IGP



Con circolare n. 16206 del 5 giugno il ministero delle Politiche agricole, riprendendo una nota ufficiale del 15 maggio della Commissione europea, ha comunicato che “… in considerazione del fatto che l'assemblaggio di diversi vini finiti, finalizzato all'elaborazione di vino Igp, costituisce parte integrante del processo di elaborazione di un vino e che tale operazione deve essere effettuata nella zona delimitata dell'Igp in questione”,  le operazioni di taglio e di assemblaggio delle partite o frazioni di partite di tipologie diverse dei vini Igp possono essere effettuate solamente nell'ambito della zona di vinificazione delimitata dal disciplinare della specifica Igp.
Pertanto dal 5 giugno sono superate le disposizioni transitorie fornite con circolare Mipaaf dell'11 marzo scorso e le suddette operazioni sui vini Igp possono avvenire esclusivamente nell'ambito della zona di elaborazione.
Rimane invece consentito, al pari dei vini Dop, la possibilità di assemblaggio di partite della medesima tipologia, fatte salve eventuali disposizioni restrittive dei singoli disciplinari.
 
Per approfondimenti:
 
Fonte: Unione Italiana Vini (articolo a firma di Carlo Flamini)
 
 

giovedì 6 giugno 2013

L'ATTIMO FUGGENTE

Leggo sempre con attenzione e interesse quello che scrive Pasquale Di Lena, noto uomo di marketing, ideatore d’iniziative e progetti di promozione di grande successo che hanno varcato i confini nazionali, sia si parli di vino, di olio e di cultura enogastronomica a tutto tondo. Questo non vuole essere un post celebrativo, il suo curriculum parla chiaro, né tantomeno un excursus sulla sua attività di marketing di primissimo livello, da cui hanno attinto a piene mani gli studenti della “Scuola del gusto” e che potete trovare riassunta in questo post, ma questa è l’occasione per trarre degli spunti di riflessione da uno dei suoi ultimi articoli.
Ho appena letto il bando della Regione Molise riguardante “Concessione di contributi a sostegno di progetti per la promozione del vino italiano sui mercati dei Paesi terzi” ed ho avuto subito la sensazione di un’altra delle tante occasioni perse se (mi auguro di no) si vanno a spartire le risorse a disposizione o a dare solo a chi - produttori e/o trasformatori e/o commercianti di vino, consorzi di tutela, organizzazioni professionali, interprofessionali o di produttori riconosciute, soggetti pubblici - ha la possibilità di impegnarsi per un progetto almeno di centomila euro, sapendo di avere un contributo pari al 70% delle spese ammesse e rendicontate”.

In effetti, le paure del Di Lena, hanno un fondamento. Torniamo indietro di qualche mese, precisamente al 30 aprile, quando è stato pubblicato sul sito del Ministero delle Politiche Agricole un Decreto sull’OCM vino (Organizzazione comune del marcato) che recita: “Promozione sui mercati dei Paesi terzi" - Invito alla presentazione dei progetti campagna 2013/2014. Modalità operative e procedurali per l'attuazione del Decreto ministeriale n. 4123 del 22 luglio 2010. In sostanza, si tratta di fondi stanziati, per la misura 101,7 Milioni di €, a disposizione di aziende singole e associate che, per il periodo ottobre 2013 - ottobre 2014 intendono promuovere il vino attraverso un supporto al proprio piano d’investimenti.
 
Fonte: UIV
Senza scendere nei dettagli della normativa, cosa che esula dall’obiettivo di quest’articolo, di cui potete trovare ampia e organica spiegazione sul web, il punto su cui voglio soffermarmi riguarda la dotazione finanziaria riguardante la Regione Molise. Dalla tabella si evince che, per la promozione verso paesi terzi, sono disponibili 433.482 €, circa il 30% della dotazione totale, cui si aggiungono quelli per la ristrutturazione dei vigneti, vendemmia verde e investimenti. Vista la prossima scadenza del bando, precisamente il 28 di giugno, mi sono messo alla ricerca, con i potenti mezzi che la tecnologia offre, il bando che Di Lena cita relativo al Molise di cui, aimè, non ho trovato alcuna traccia. Ho fatto una ricerca bibliografica, cercando di ottenere uno storico sul tipo d’investimento nel nostro paese e, purtroppo, mio malgrado, ho fatto una brutta scoperta: la Regione Molise, secondo elaborazione di dati Agea, l’Agenzia per le erogazioni in agricoltura, nel triennio 2009-2011, non ha speso i fondi per la promozione in paesi terzi, cosa confermata anche per il 2012.
 
Fonte: Rete Rurale Nazionale
 
Da cosa dipende questo immobilismo? Se andiamo a leggere attentamente il bando, ai fondi hanno accesso diversi soggetti, tra cui le organizzazioni professionali che abbiano tra i loro scopi la promozione dei prodotti agricoli, i Consorzi di tutela e loro associazioni e federazioni, i produttori di vino che abbiano ottenuto i prodotti da promuovere dalla trasformazione a monte del vino, propri o acquistati, soggetti pubblici con comprovata esperienza nel settore del vino e le associazioni, anche temporanee, d’impresa e di scopo tra i soggetti precedenti. Se scorriamo la graduatoria dei progetti finanziati dello scorso anno, per accedere al contributo riservato sulla quota nazionale, che si aggiunge al budget di quelle regionali cui hanno accesso progetti che coinvolgano almeno tre Regioni, è un elenco dei più importanti gruppi del vino in ambito nazionale, quelli che detengono una buona parte del mercato, come Cavit, G.I.V (gruppo italiano vini) e Caviro, giusto per citarne alcune. Da quanto sopra si evince che, per usufruire degli aiuti, pari, al massimo, al 50% delle spese sostenute per svolgere le attività, è necessario che ci sia una comunione d’intenti, un unico soggetto forte che accomuni le singole realtà produttive, necessario soprattutto nella nostra Regione, dove i volumi sono piccoli e c’è molta frammentazione. Il Consorzio di tutela dei vini del Molise, che dovrebbe essere uno dei soggetti proponenti, rappresenta solo una parte del mondo produttivo regionale, tra cui le tre cantine cooperative del basso Molise. Lo stesso Di Lena dice:
Si tratta di mettere insieme tutti i soggetti per valutare la possibilità di dar vita a uno strumento comune necessario per spendere al meglio le risorse e, nel contempo, offrire ai produttori l’opportunità di conquistare uniti un mercato”.

E ancora:
Uno strumento che vede partecipe i soggetti considerati dal bando, con tutti i produttori protagonisti di un progetto di promozione e valorizzazione dei nostri vini e, con essi, del Molise, che ha come priorità la creazione di una squadra capace di programmare - sulla base di una scelta concordata con la Regione di uno o, al massimo, due mercati esteri - le iniziative che permettono di far conoscere il Molise e i suoi vini, ai fini di una commercializzazione degli stessi”.

Lo stesso, poi, indica quali potrebbero essere i mercati su cui puntare, come il Canada, che è uno tra i primi importatori di vino italiano nel mondo e dove è anche forte la presenza d’italiani e di comunità molisane. Alle sue considerazioni, pienamente condivisibili, aggiungo che, proprio per i numeri piccoli che caratterizzano la nostra produzione, la possibilità di puntare a un mercato dove il Brand Italia è forte, potendo offrire, rispetto alle altre realtà italiane, la crescente qualità delle produzioni associata a tutto quello che il Molise può offrire in termini di cultura, arte, archeologia e territorio rurale di qualità, in concreto sconosciuta, può essere un’arma vincente.
 
Scorcio di paesaggio molisano
L’appeal può essere rafforzato proponendo l’olio extravergine d’oliva, il tartufo e tutto quello che possa dare risalto a l’immagine di una “città regione”, ossia la possibilità di toccare con mano quello che offre in nostro paese in poche decine di chilometri quadrati, con tante cose in poco spazio, una ricchezza da scoprire, un unico contenitore che racchiuda tutto, un unico brand, un unico messaggio condiviso. Probabilmente, questo è l’anello debole, la nostra vera tara, nel senso che è già difficile trovare accordo tra produttori di vino, figuriamoci tra soggetti eterogenei. Ecco che deve entrare in gioco la programmazione istituzionale, penso alle azioni che vorrà intraprendere il neoeletto Assessore all’agricoltura, giovane e particolarmente sensibile alla realtà produttiva regionale, alle Camere di Commercio e soprattutto ai produttori, che sono i soggetti principali dell’azione, cercando la condivisione attorno ad un'unica associazione, consorzio o quant’altro faccia squadra, rete e condivisione. “Il Molise può essere qualcosa di nuovo” (Rossano Pazzagli).
 
Sebastiano Di Maria
 

mercoledì 5 giugno 2013

LA GRANDE OPPORTUNITA’ PER I VINI MOLISANI

di Pasquale Di Lena

 
Ho appena letto il bando della Regione Molise riguardante “Concessione di contributi a sostegno di progetti per la promozione del vino italiano sui mercati dei Paesi terzi” ed ho avuto subito la sensazione di un’altra delle tante occasioni perse se (mi auguro di no) si vanno a spartire le risorse a disposizione o a dare solo a chi - produttori e/o trasformatori e/o commercianti di vino, consorzi di tutela, organizzazioni professionali, interprofessionali o di produttori riconosciute, soggetti pubblici - ha la possibilità di impegnarsi per un progetto almeno di centomila euro, sapendo di avere un contributo pari al 70% delle spese ammesse e rendicontate.
Una sensazione, dicevo, frutto di tutte le esperienze passate che, lo spero vivamente, non si ripetano in un momento in cui serve più che mai fare squadra, tanto più in un comparto contrassegnato da una forte concorrenza proprio nei “Paesi terzi” i mercati indicati e voluti dal bando.C’è anche la possibilità di coinvolgere “Associazioni, anche temporanee di impresa e di scopo tra i soggetti di cui ai punti precedenti”. Bene, e allora perché non parlare e stimolare la nascita di una sola associazione? Uno strumento che vede partecipe i soggetti considerati dal bando, con tutti i produttori protagonisti di un progetto di promozione e valorizzazione dei nostri vini e, con essi, del Molise, che ha come priorità la creazione di una squadra capace di programmare - sulla base di una scelta concordata con la Regione di uno o, al massimo, due mercati esteri - le iniziative che permettono di far conoscere il Molise e i suoi vini, ai fini di una commercializzazione degli stessi. Una programmazione triennale, un tempo minimo per conoscere e coinvolgere operatori del mercato, ristoratori, catene commerciali, media e opinion leader. Un tempo necessario, tre anni, per seminare e poi dare alle aziende la possibilità di raccogliere i frutti delle azioni e iniziative promosse.
Non c’è altra possibilità che mettere in piedi subito una squadra e un programma, anche per dar vita a una strategia di marketing che può dare risultati insperati al vino e all’agroalimentare molisano, con le aziende che, sulla base del valore aggiunto e dell’esperienza fatte, acquistano forza e sicurezza per vivere da protagoniste il mercato nazionale e quelli europei. Si tratta di mettere insieme tutti i soggetti per valutare la possibilità di dar vita a uno strumento comune necessario per spendere al meglio le risorse e, nel contempo, offrire ai produttori l’opportunità di conquistare uniti un mercato. Penso al Canada per quello che per noi molisani rappresenta questo grande Paese, che ha bisogno certo di qualità (oggi il Molise ha la possibilità di rispondere a questa domanda) ma, anche, di quantità, che è più difficile da trovare.
Un programma capace di farsi da solo la pubblicità con le iniziative e le pubbliche relazioni che sono da attivare prima, durante e dopo ogni evento e nel corso dei tre anni di permanenza sul mercato scelto. E non solo, pensare anche alla adesione a eventi di risonanza mondiale e, in questo caso, per chi ricorda una mia nota di qualche giorno fa, indicavo Zurigo e Pechino, due mercati terzi, sedi di campionati di atletica, europei nel primo caso e mondiale nel secondo, che vedono protagonista la nostra “Casa Italia Atletica” espressione della Federazione dell’Atletica Leggera Italiana.
Un modo per rilanciare sul mercato scelto l’eco di un partecipazione con i nostri campioni primi messaggeri di una terra vocata ai vini di qualità. La scadenza del 28 di giugno imposto dal Mipaaf è, a mio parere, una spada di Damocle sulla possibilità di rispondere al bando; un altro problema serio da affrontare e  risolvere subito perché non aiuta a concretizzare questo discorso di un solo soggetto proponente e titolare della domanda e, neanche, quello delle iniziative dei singoli soggetti.
 
 
 

lunedì 3 giugno 2013

TRACCIABILITA' NEL VINO

Oggi voglio trattare un argomento un po’ ostico, forse troppo tecnicistico, è vero, ma credo voglia rappresentare o riassumere, almeno nelle intenzioni, quello che è il massimo della ricerca nel settore enologico, in questo momento, nel nostro paese, che chi scrive ha avuto modo di toccare con mano, con gli stessi relatori, nel master sul vino frequentato presso la Fondazione Edmund Mach e Istituto Agrario di San Michele all’Adige. E’ andato in scena, nei giorni scorsi, in quel di Montalcino, infatti, un convegno scientifico sulla tracciabilità del Sangiovese nelle bottiglie di Brunello, promosso dal Consorzio di tutela di una delle denominazioni italiane più conosciute al mondo. Si sono alternati, come relatori, i massimi esponenti scientifici in materia che, dopo lo scandalo “brunellopoli” di qualche anno fa, che ha destato molto scalpore e creato un vero e proprio terremoto all’interno della prestigiosa denominazione, hanno cercato di illustrare quali sono le metodiche che più si prestano a identificare l’origine del prodotto, ossia, se nella bottiglia di Brunello ci sia Sangiovese al 100%. Chi ha avuto modo di seguire la querelle sa che, in realtà, non si è trattato di una vera e propria sofisticazione ma, bensì, di un’aggiunta di uve di altra varietà e proveniente da altre regioni - il disciplinare prevede Sangiovese al 100% - con l’intento, presumibilmente, di gonfiare le produzioni e aumentare il profitto, oltre che conferire al prodotto peculiarità specifiche di altri vitigni.

 
 
Il convegno è servito a illustrare, dopo anni di ricerche, qual è la metodica più efficace nel tracciare l’origine del vino.Tre sono state le metodiche approfondite, dal profilo antocianico, passando per l’analisi del DNA e finendo con il metodo degli isotopi stabili. Andiamo per gradi e cerchiamo di capire, a grandi linee, quali sono le prerogative delle diverse metodiche. Innanzitutto, quello che è emerso, come si legge dagli articoli della stampa di settore, è che la metodica sullo studio del profilo antocianidinico del vino, ossia della frazione colorante, sia quello che meglio si presta, in particolar modo per vini sottoposti a un lungo periodo d’invecchiamento, a tracciare, attraverso la formazione di pigmenti dipendenti dalla varietà, l’effettiva presenza di una varietà di uva nella bottiglia, Sangiovese nella fattispecie. I risultati ottenuti sono stati illustrati da Fulvio Mattivi, coordinatore del Dipartimento Qualità Alimentare e Nutrizione presso il Centro Ricerca e Innovazione della Fondazione Edmund Mach Istituto Agrario di San Michele all’Adige. Secondo Mattivi, l’utilizzo dell’innovativo metodo UHPLC-MS/MS (Ultra performance liquid chromatography), che rappresenta un miglioramento della metodica della cromatografia liquida, metodo validato dall’OIV e utilizzato per i vini giovani, consente di ottenere correlazioni statistiche significative tra pigmenti dell’uva di partenza e quelli del vino invecchiato dimostrando, di fatto, che il pattern antocianico della varietà Sangiovese, determinato geneticamente, viene “ereditato” dai pigmenti che si formano durante l’invecchiamento del vino. Ricordiamo che il Brunello di Montalcino va in commercio, come da disciplinare della DOCG, dopo cinque anni dalla raccolta e dopo almeno due anni di affinamento in botti di rovere. Quì trovate l'intervista a Fulvio Mattivi.
 
Evoluzione di alcuni pigmenti durante l'invecchiamento
Fonte: "Study of Sangiovese Wines Pigment Profile by UHPLC-MS/MS: J. Agric. Food Chem., 2012, 60 (42), pp 10461–10471"
Altro filone di ricerca è stato quello dell’analisi del DNA, questa volta attraverso il confronto di due gruppi ricerca, uno diretto da Rita Vignani, coordinatrice scientifica dell’area agronomica di Serge-genomics dell'Università di Siena, l’altro da Stella Grando, referente per la genetica della Fondazione Edmund Mach Istituto Agrario di San Michele all’Adige. Per la ricercatrice dell’ateneo senese, il wine fingerprinting, ossia l’analisi del DNA residuo del vino attraverso un’impronta che consenta di stabilire statisticamente il vitigno d’origine, è una buona metodica di ricostruzione grazie all’amplificazione di frammenti di codice genetico mediante marcatori molecolari. Secondo Stella Grando, invece, costatato che nei vini la quantità del DNA proveniente dall’uva diminuisce notevolmente nel corso della fermentazione e la sua qualità non è sufficiente a stabilire la purezza di un vino (se è cioè monovitigno nel caso del Brunello), ma solo se quel tipo di varietà (in questo caso Sangiovese) è presente nel vino senza escludere quella di altri, non risponde, quindi, agli obiettivi della ricerca stessa, che era appunto se sia possibile attraverso DNA stabilire la purezza del Brunello. L'estrazione del DNA e l'amplificazione mediante marcatori molecolari, sono stati applicati con successo su mosti d'uva e in fermentazione, viceversa, lo stesso procedimento è difficile su campioni di vino, se non con l'individuazione di sonde molecolari che possano individuare le singole cultivar ed eventualmente quantificarne le diverse frazioni. Per saperne qualcosa in più, potete legge questo post. L'intervista a Stella Grando potete vederla quì.

Semplificazione del procedimento di amplificazione di microsatelliti e relativa separazione elettroforetica dei frammenti
 
La parte del lavoro sugli isotopi stabili è stata seguita da Federica Camin, anch'essa afferente alla Fondazione E. Mach, la quale ha potuto rilevare che è possibile individuare l’origine anche in zone molto piccole come il territorio di Montalcino. L’utilizzo degli isotopi stabili, per individuare la zona di origine, è nota da molti anni e ci sono banche dati ventennali, che consentono di individuare l’origine nell’ambito di macroaree quali regioni o gruppi di regioni. I dati rilevati sul territorio di Montalcino hanno infatti uno scarto molto più contenuto e pertanto, anche attraverso un monitoraggio costante anno dopo anno nel territorio, sarebbe possibile costituire una banca dati che permetterebbe di avere dati specifici per il territorio di Montalcino. Quì trovate l'intervista.

Esempio di tracciabilità, tramite isotopo dell'acqua, di vini sudamericani (Argentina, Brasile, Cile, Uruguay) e Sud-Africa
Fonte: Enoforum 2011, Arezzo (G. Nicolini et al.: Commemorazione Versini)
I risultati delle ricerche dimostrano che, allo stato dell'arte, il metodo del profilo antocianico è quello che da maggiori garanzie nella tutela delle denominazioni, sia per i produttori ma soprattutto per il consumatore, indicando la presenza del vitigno in purezza. A questo metodo, poi, può essere affiancato quello degli isotopi stabili, che consente un'ulteriore definizione territoriale. L'analisi del DNA, viceversa, non consente di ottenere risultati scientificamente riproducibili su tutta la produzione e, soprattutto, non è sufficiente a stabilire la purezza di un vino, ma solo se quel tipo di varietà - Sangiovese nella fattispecie - è presente, senza poter escludere quella di altri.

Sebastiano Di Maria
molisewineblog@gmail.com

 
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