martedì 29 gennaio 2013

SOSTENIBILITA', UN DOVERE NON UN'OPPORTUNITA'

Domenica 20 Gennaio, presso l’Enoliexpo adriatica di Fermo, prima edizione dell’appuntamento fieristico riguardante le filiere vino e olio, si è svolto un convegno sulla “Viticoltura sostenibile per un bere consapevole”, dove sono stati snocciolati, da esperti del settore, tutti gli aspetti viticoli, dal biologico al naturale, dalla lotta integrata alla sostenibilità ambientale, passando per la viticoltura di precisione, cercando di individuare i punti critici e di tracciare le linee guida per il futuro vitivinicolo del paese. L’articolo 14 della Direttiva 2009/128/CE prima e il successivo decreto attuativo, il D. Lgs n° 150 del 14/08/201, hanno stabilito che, entro il 01/01/2014, siano obbligatorie strategie di “difesa integrata” delle colture, ossia, un uso sostenibile dei pesticidi in modo da ridurre i rischi e gli impatti sulla salute umana, sull'ambiente e sulla biodiversità; oltre a promuovere approcci alternativi o metodi non chimici. La crescita del movimento naturalista in vitivinicoltura, cui si aggiunge la nascita del vino biologico, definito dal Reg. CE n. 203/2012, di cui ho avuto modo di parlare in questo post e poi in questo, insieme al movimento biodinamico, rappresentano, di fatto, una svolta verso una viticoltura a basso impatto, che tutela l’ambiente e la salute del consumatore. A questo si aggiunge una ricerca spasmodica, da parte di molte aziende, di introdurre nel proprio processo produttivo, tecnologie o comportamenti che riducano i consumi energetici e i costi di produzione, abbassando le emissioni di gas a effetto serra, decretando la nascita di cantine sostenibili. Molto spesso e da più parti, tale tipo di approccio sostenibile, è visto come un vero e proprio strumento di marketing, più che una vera e propria necessità oggettiva da parte delle aziende produttrici. 
 
Vigneto e inerbimento permanente come fonte di sequestro di CO2
Il dott. Pierluigi Donna, fondatore e coordinatore di SATA, gruppo di consulenza agronomica ed enologica in aziende vitivinicole sparse per il territorio nazionale, di concerto con la Facoltà di Agraria dell’Università di Milano, si occupa del protocollo Carbon Foot-print, cioè il calcolo dell’impronta carbonica di un’azienda, ossia l’impatto dell’attività produttiva della stessa sull’ambiente. L’impronta primaria (carburante, generatori, condizionamento, fertilizzanti, macchinari agricoli, etc.) e quella secondaria (approvvigionamento di energie elettrica) sono obbligatorie nel computo, mentre la terziaria (imballaggi, prodotti per l’enologia, uve acquistate, rifiuti, etc.) non è tale. Un dato interessante, sempre secondo Donna, è la possibilità di calcolare nel bilancio l’anidride carbonica fissata nel processo fotosintetico, che andrebbe, di fatto, a saldo sul totale. Lo stesso agronomo ha tracciato, poi, un bilancio sulle diverse attività, affermando che un produttore biologico consuma più carburante, vista la necessità di intervenire in campo più volte per il controllo delle infestanti e delle fitopatologie, mentre quello convenzionale consumerà più pesticidi per il relativo controllo, con un bilancio globale pressochè identico  (+ 0,7 eq. di CO) per entrambe le tipologie d’intervento. Il mercato del vino certificato, in tal senso, è ancora molto piccolo vista la mancanza di una consapevolezza diffusa del tema, tranne che per alcuni importatori scandinavi e per gli australiani, che fanno della sostenibilità un cavallo di battaglia, l’unico mezzo, forse, aggiungo io, per contrastare il blasone dei terroir del vecchio mondo.
 
Valori di emissione effettivi per ogni settore di ciascun ambito e i sequestri. Fonte: SATA - Studio agronomico
Una delle applicazioni più importanti in tema di riduzione e riciclo dell’anidride carbonica, è il progetto E-CO2 proposto dal Consorzio del Soave e diversi partner accademici che, rispetto al normale calcolo del carbon foot-print, si pone l’obiettivo di un abbattimento considerevole delle emissioni focalizzando l’attenzione sulla fermentazione alcolica. Durante il processo fermentativo, che consente la conversione degli zuccheri presenti nel mosto in alcool etilico e anidride carbonica, si ha una grande quantità di emissione in atmosfera di gas serra, facilmente calcolabile. L’obiettivo del progetto è di captarla, purificarla e renderla compressa per riutilizzarla nel settore enologico, oppure in altre tecnologie, come il riutilizzo per creare atmosfere modificate per il controllo della proliferazione microbica negli alimenti, aumentandone la shelf-life (vita di scaffale), per acidificare acque reflue urbane, sfruttare il suo potenziale criogenico (ghiaccio secco/neve carbonica utilizzata in cantina nelle criomacerazioni o come antiossidante nella pressatura di uve bianche), fonte di carbonio per le serre, etc.
(Parte I)
 
continua..........
 
Sebastiano Di Maria
 
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