mercoledì 28 novembre 2012

IN ESTONIA, A TALLINN , L’OLIO E LA PASTA RACCONTANO IL MOLISE

Tallinn, con il suo delizioso centro medioevale (dal 1997 patrimonio dell’umanità dell’Unesco) ricco di chiese, di piccole case e di un castello posto sulla collina che guarda il porto sul mar baltico, ha sulla sua testa una spada di Damocle, che è quella che non può mai essere dichiarata terminata al vecchio, che esce ogni autunno dal lago Ülemiste sovrastante, perché altrimenti la distrugge inondandola con le acque dell’invaso delle quali si sente padrone assoluto. Una leggenda nata proprio con l’espansione improvvisa di questa città che, personalmente, ho avuto la fortuna di visitare in occasione dei Campionati Europei Juniores di Atletica Leggera del 2011, quando la città viveva l’onore di capitale europea della cultura.
 
In quell’occasione ho avuto il piacere di conoscere Paolo Moglia, che dal 1994, arrivando da Biella, è stato il primo italiano a iniziare un’attività nei Paesi Baltici, con l’apertura di un ristorante-pizzeria “Controvento” e, insieme, di un’agenzia di modelle “Top Models”, da subito protagoniste delle più importanti sfilate di moda nelle principali città del mondo e molto richieste dai più famosi fotografi delle riviste di moda più diffuse al mondo. Tutt’ora, fa parte del team Carmen Kass, da tre anni seconda nella lista mondiale delle modelle più richieste e meglio pagate.
Un personaggio che ha fatto e continua a far parlare dell’Italia a Tallinn, in Estonia e, anche nei Paesi baltici, per queste attività, in particolare per il suo nuovo ristorante-pizzeria “Attimo”, l’unico con un forno a legna, che, pur se in periferia (comunque a cinque minuti di taxi dal centro di Tallinn) e collocato in un quartiere non bello, con i suoi casermoni che ricordano la Russia del secolo scorso, è molto noto e frequentato.Lo è proprio per la qualità della sua cucina, la bontà della sua pizza e la cordialità del personale che rendono “Attimo”, un locale molto ospitale.
 
 
Un ristorante-pizzeria che è amato da una clientela affezionata e ricordato dai clienti occasionali che lo hanno, nella stragrande maggioranza, giudicato “eccellente”, il luogo dove andare per degustare non solo “la pizza più buona di Tallinn”, ma, anche, la vera cucina italiana con i prodotti “eccellenti” della nostra enogastronomia, segnati da territori ricchi di tradizioni e di paesaggi, biodiversità.
Sta in questa scelta e nella cura dei piatti il successo di Paolo Moglia e del suo “Attimo” tricolore, che dona profumi e sapori dei territori più noti del suo Piemonte e della vicina Lombardia, e, con la pasta “La Molisana” e “L’olio di Flora” de La Casa del Vento di Larino, anche del nostro Molise.
L’altro giorno la presentazione di questo olio della Gentile di Larino, quindi monovarietale e, anche, biologico, raccolta 2012, con una degustazione guidata e assaggi di pasta La Molisana condita con olio o, anche, con aglio e olio sempre di Flora, che ha visto un’ampia e entusiasta partecipazione di vecchi e nuovi ospiti del ristorante “Attimo”. Un grande successo quello de l’Olio di Flora e della pasta “La Molisana” a Tallinn, nell’estremo nord di questa nostra cara Europa, che apre alla cultura dell’olio in un’area dove è sconosciuto dalla massa dei consumatori per una cucina tradizionale a base di grassi animali molto buona.
Merito di Paolo Moglia e del suo “Attimo”, il suo ristorante-pizzeria, se si è parlato di pasta e di olio, i due prodotti fondamentali della Dieta Mediterranea; dell’Italia, e, soprattutto, del Molise, di Campobasso, di Larino e del suo Olio gentile.
 
 

Pasquale Di Lena
 
 

giovedì 22 novembre 2012

APERTE LE ISCRIZIONI AL PRIMO CORSO DEL GUSTO

IL MOLISE A TAVOLA TRA SAPORI E TRADIZIONI
"Un Molise divino"
 




Il progetto si pone l’obiettivo di sensibilizzare i giovani, in particolar modo studenti, ma anche consumatori, alla scoperta della qualità delle produzioni alimentari della Regione Molise e delle relative risorse territoriali. Il percorso formativo si svolgerà presso l’Istituto Tecnico San Pardo di Larino (CB) per le lezioni frontali, attraverso la messa a disposizioni di locali e laboratori, mentre la parte applicativa si svolgerà, attraverso visite guidate, presso le aziende produttrici e mediante partecipazione a incontri e seminari tematici. Le lezioni vedranno l’apporto tecnico-scientifico di docenti dell’Istituto, di professionisti del settore, anche afferenti all’associazione ex-allievi dell’Istituto Agrario di Larino, oltre che da operatori direttamente impegnati nelle singole filiere produttive. Il progetto verterà sulla filiera vino, di cui saranno trattati, in maniera organica, tutti gli aspetti dalla produzione alla trasformazione, mettendo in risalto il legame con il territorio. Inoltre, particolare attenzione sarà data all’analisi sensoriale come strumento di valutazione della qualità, all’abbinamento con la cucina locale, alla lettura delle etichette, alle principali frodi alimentari e alla sostenibilità ambientale. A tutti i partecipanti verrà consegnato un attestato di frequenza, il materiale didattico su CD/DVD, oltre alla stesura di un opuscolo divulgativo, a cura degli stessi, con il materiale del corso.
 

 




ORGANIZZAZIONE DIDATTICA

1° Modulo: Storia e cultura del vino (Origine della viticoltura e mito del vino come contributo nello sviluppo della civiltà occidentale, la domesticazione della vite selvatica. Contributo dell’archeobotanica e delle moderne tecniche di biologia molecolare. Le scoperte archeologiche in Molise.)
2° Modulo: La coltivazione della vite (principi di biologia e fisiologia, sistemi di allevamento e avversità. Visite aziendali su sistemi di potatura e allevamento.)
3° Modulo: La vinificazione (biochimismo del processo fermentativo, microbiologia e tecnica enologica. Affinamento e vini speciali. Analisi di laboratorio. Visite in cantine.)
4° Modulo: Analisi sensoriale e abbinamento cibo/vino (Principi di analisi sensoriale, fisiologia dei sensi ed addestramento alla percezione. Gli aromi del vino, tecnica di degustazione e abbinamento cibo-vino.)
5° Modulo: Enografia, enoturismo e strade del vino (Vitigni autoctoni e vini di qualità. Principali regioni vitivinicole italiane ed internazionali. Le denominazioni di origine e i consorzi di tutela. La Tintilia e il Molise enologico. Il vino come leva per lo sviluppo turistico di una destinazione.)
6° Modulo: Il gusto della moderazione, le frodi alimentari, HACCP e tracciabilità di filiera (Aspetti nutrizionali e salutistici. Il rapporto vino-alcool ed educazione al consumo consapevole. Uso e abuso di alcool. Principali frodi alimentari sul vino, il sistema di autocontrollo, le certificazioni di qualità e sistemi di rintracciabilità di filiera.)
7° Modulo: Realizzazione di un logo ed elaborazione del prodotto finale (Creazione di un’etichetta e del relativo logo. Raccolta del materiale realizzato con cui predisporre l’opuscolo divulgativo e il CD/DVD- ROM)
 
 
 


Il corso, così come strutturato, prevedrà una lezione settimanale pomeridiana, per un totale di 63 ore circa di lezioni frontali, da concordare volta per volta in base alle diverse esigenze, della durata variabile tra le 2 o 3 ore, in base alla tema trattato. L’inizio delle lezioni avverrà, presumibilmente, per la metà del mese di dicembre 2012, mentre il termine è previsto per la metà del mese di maggio 2013. Data e orari definitivi verranno comunicati in maniera tempestiva appena possibile, dopo la raccolta delle iscrizioni. L'inizio, presumibilmente, è previsto nella settimana tra il 10 e il 15 dicembre.

IL CORSO E' GRATUITO

Un piccolo contributo potrebbe essere necessario solo per le degustazioni nelle cantine visitate.
Per info: chiedere del dott. Di Maria Sebastiano ai numeri 0874/822211 e 0874/822160 o attraverso la mail scuoladelgustolarino@gmail.com

Sebastiano Di Maria
 
 
 

lunedì 19 novembre 2012

WEEKEND IN AGRITURISMO A LARINO, TRA FILARI E CALICI DI BUON VINO

La campagne molisane sono l’ideale per chi vuole godersi qualche giorno di meritato riposo ed assoluto relax. Se state pensando ad un weekend in agriturismo, dove la natura e il comfort si uniscono ai sapori della buona cucina molisana, voglio darvi qualche piccolo suggerimento che potrebbe tornarvi utile.
Il filo conduttore di questo ipotetico weekend in agriturismo è il vino (sempre lì vado a parare, lo so), prodotto delizioso e raffinato che nasce in diverse zone del Molise.
 
 
Veduta della struttura agrituristica
 
L'articolo completo lo trovate su http://molisiamo.it/
 
 
Ringrazio Sara Carriero che, con il progetto Molisiamo, racconta in maniera giovane ed originale le mille risorse di una regione poco conosciuta e sottovalutata, "ancora tutta da raccontare". L'articolo si riferisce ad un mio post del blog, riguardante l'azienda vitivinicola di Angelo D'Uva, in cui troverete i passaggi salienti della storia del produttore  e della qualità dei suoi vini. Per chi ancora non l'evesse fatto, riporto di seguito i link relativi:
  1. http://molisebwineblog.blogspot.com/2012/03/un-pomeriggio-con-angelo-d.html
 


domenica 18 novembre 2012

SALVARE L'OLIVICOLTURA ITALIANA E LA SUA RICCA BIODIVERSITA'

L'Agromillora Iberia, azienda vivaistica storica, leader nel campo dell'olivicoltura superintensiva, ha organizzato la manifestazione "Olio  in  campo", dalla raccolta delle olive alla spremitura in frantoio, presso Borgo  Incoronata (FG), nella giornata di ieri, 17 novembre 2012, sulle cultivar Arbequina e Arbosana.



Riporto la mia email di risposta all'invito che mi ha inviato il rappresentante di l'Agrimolla Iberia cioè, come lui ci tiene a sottolineare, "l'azienda vivaistica storica, leader nel campo dell'olivicoltura superintensiva", di partecipare a una manifestazione di presentazione dei "grandi" risultati ottenuti con solo due varietà classiche della Spagna "Arbequina" e "Arbosana" che, con l'olivicoltura intensiva, sono destinate a colonizzare l'olivicoltura mondiale, a partire da quella italiana. Alla faccia del nostro straordinario patrimonio di biodiversità che ci vede leader assoluti nel mondo con oltre 500 varietà autoctone, pari al doppio del patrimonio mondiale.

 




Faccio appello a quanti hanno a cuore questo patrimonio soprattutto nostro, ma anche di altri paesi del Mediterraneo (la Spagna compresa), a contrastare un disegno dei padroni dell'olio, fra i quali anche i titolari dell'Agrimolla Iberia, che è quello di azzerare le differenze, le diversità, cioè i valori, come il dialetto, la lingua, le tradizioni che, come si sa, sono le espressioni più autentiche di un territorio insiema all'ambiente ed ai paesaggi. Le diversità di cui si nutre l'uomo per non sentirsi trasformare in un oggetto di puro consumismo guidato da altri. Senza la diversità non c'è libertà. Rivolgo questo appello agli olivicoltori italiani e alle loro associazioni, consorzi, cooperative, Unioni; alle organizzazioni professionali - in primo luogo la CIA ed l'Associazione Nazionale delle Città dell'Olio, che hanno condiviso con me il progetto "Olivoteca d'Italia", l'oliveto della biodiversità, con le città dell'olio impegnate nella difesa del paesaggio olivicolo - alle Università, al mondo dell'enogastronomia; agli organi di informazione; agli uomini di cultura ed alle istituzioni i vari livelli, perchè tutt'insieme si adoperino a non far passare questo tentativo di colonizzazione dei nostri territori olivetati.  Serve attivare subito tutte le azioni di informazione e controinformazione. Serve altresì realizzare progetti atti a dare spazio alla biodiversità, alla ricchezza organolettica degli oli prodotti, alla salvaguardia dei gusti e delle tradizioni con le mille cucine espresse e segnate dall'olio.Si tratta di bloccare subito questo disegno che non aiuta la nostra olivicoltura ma a limitarla fortemente dando ai territori identità uniformi sotto ogni aspetto. Ed ecco la mia email di immediata risposta al rappresentante della ditta spagnola che, volentieri, pongo alla vostra attenzione.

Scorcio di paesaggio olivicolo a Larino
Foto storica raccolta delle olive

Egregio Dr. Rutigliano,
grazie per l’invito ma non ci sarò. E’ l’inizio della colonizzazione della nostra olivicoltura da parte della Spagna con il rischio dell’abbandono dei nostri oliveti marginali che sono tanta parte della olivicoltura italiana e di quel straordinario patrimonio di biodiversità olivicola che è, questo sì, il nostro vero futuro.
I miei saluti

Pasquale Di Lena
 

 

mercoledì 14 novembre 2012

QUANDO LA DEGUSTAZIONE DIVENTA POESIA: CONTEMPORANEA ARCHETIPICA MASSIMITA'


 

Per arrivare alla sua cremosa, natural fruttosa, balsamica espressione, tecnica e natura in contemporanea archetipica massimità e simbiosi. Che la sua fonte è l'uva, di totale concentrazione e spessore, d'intatto, illibato, linfatico omore. Che la sua luce è nitidezza, rispetto, capacità tecnica trasformativa. Perfezion naturalistica d'agronomia, eccellenza enologica applicativa. La fusion è mora, nera, di potenza e morbidezza effusiva, di souplesse morbido/tannica tramosamente totale. E poi la forza in vigore e lucore della sua dolcezza espressiva: essenziale e universale sintesi della somma qualità sua. Il Merlot al candor massimo della sua impenetrabile nerezza di frutto. Uno fra i migliori vini rossi mai prodotti e testati. Chapeu ammirato al suo produttore.

Fonte: Luca Maroni, Montiano 2008 – Falesco

Balanço - More (1999)

NB Per una lettura migliore della scheda si consiglia questo brano come sottofondo


sabato 10 novembre 2012

IERI LE COMICHE, OGGI PURE

"Consentitemi uno sfogo, vi prego. Direi che me lo posso permettere dopo tanti anni di onorato servizio nel mondo del vino, tra degustazioni, appassionati a volte un po’ maniacali, bevitori simpatici e produttori che qualche volta confondono le loro bottiglie con dei prolungamenti alcolici della loro personalità”. Così esordisce Daniele Cernilli, ex Gambero Rosso ed ex AIS Bibenda di Roma, nel suo ultimo articolo, “Enosnob”, firmato Doctor Wine sul relativo portale. Il “deus ex machina” del giornalismo enologico ha curato una rubrica, “Taste Italy”, in occasione dell’ultimo Vinitaly, dove ha intervistato alcuni tra i più importanti produttori di vino dello stivale, con tanto di video in HD sulla web TV del Vinitaly e live in fiera. A onor del vero, già in quell’occasione, ho avuto modo di ascoltare alcune interviste di produttori italiani blasonati chiedendomi, tra l’altro, se anche qualche produttore dello sconosciuto Molise fosse stato baciato dalla dea bendata e si fosse seduto sulla poltrona del comodo salottino del famoso guru. In realtà, l’iniziativa promossa da Verona Fiere con lo scopo di selezionare, per gli operatori esteri e giornalisti accreditati, le migliori 100 cantine del bel paese, prevedeva già in scaletta un’azienda molisana, la Di Majo Norante, vero simbolo dell’enologia regionale. Purtroppo, ho avuto modo di vedere il video solo oggi, scovandolo, per caso, dopo aver visionato un video di Pasquale Di Lena sulla Tintilia. Senza voler fare della demagogia, cosa che non mi appartiene, posso affermare che quanto emerge dal video, come amici che l’hanno visto mi hanno confermato, è a dir poco paradossale e non fa altro che confermare quello che vado dicendo da qualche tempo, certificato nero su bianco nei miei post del blog e sugli articoli nei giornali online. Non voglio anticiparvi niente sul contenuto, lasciandovi il (dis)gusto della scoperta guardando il relativo video. A dopo per alcune considerazioni irrinunciabili.


 
E’ proprio vero che in Italia si fa il vino dappertutto…” esordisce Cernilli e, quindi, perché non potrebbero farlo anche nello sconosciuto e piccolo Molise, dove le colline degradano dolcemente verso il mare, affacciandosi sulle isole Tremiti, “tu pensa un pò”, dove, guardate un pò il caso, esiste un bravo produttore come Alessio Di Majo Norante. Che il produttore in questione sia un “top player” dell’enologia è un fatto acclarato, lo certificano i riconoscimenti e il prestigio internazionale della relativa azienda e lo stesso Di Majo tiene a precisare, inoltre, che ci sono delle potenzialità inespresse nel territorio regionale. Il simpatico Cernilli, poi, si sbilancia nella descrizione orografica regionale, definendo il relativo territorio, tranne che per la fascia costiera, “molto montagnoso”(secondo le convenzioni europee, per definire montagna, l’altezza deve essere di almeno 600 metri sul livello del mare e il suo aspetto deve essere almeno parzialmente impervio, nel Molise collina e montagna sono pressoché equivalenti come superficie). Forse avrà frequentato le piste di sci alpino a Campitello Matese o quelle di fondo di Capracotta, cosa di cui dubito fortemente, citando solo alcuni dei comuni più vicini alla costa, guarda caso dove ci sono buona parte dei produttori, probabilmente quelli che conosce, quantomeno nel bicchiere, si spera. A parte le lacune geografiche, quello che lascia più perplesso e che, secondo l’erudito giornalista, nel territorio interno, a parte le zone più impervie, non ci siano le condizioni di fare viticoltura di qualità, quando si possono citare decine di esempi, nel nostro paese, che dimostrano il contrario. La cosa più grave, a mio avviso, è la completa superficialità con cui è stato trattato l’argomento Tintilia, anche da Alessio Di Majo - nuovi vini da antichi vitigni, era lo slogan della sua azienda - un po’ superficiale, considerandolo forse più un fardello, devo pensare, ignorando completamente il fatto che la Tintilia “è” il vitigno delle zone interne, quello che la storia, la scienza e l’abnegazione di un manipolo di produttori, tra cui lo stesso Di Majo, hanno portato alla ribalta con fatica, che forse qualcuno voleva estenderne la coltivazione fino alla costa, dove si fa la viticoltura di qualità, secondo il ben informato Cernilli.
 
Distribuzione della Tintilia alla fine dell'Ottocento, da Tintilia del Molise (2007)
 
L’apoteosi si è raggiunta quando lo stesso Cernilli, nel descrivere uno dei vini di punta dell’azienda, il Don Luigi, afferma candidamente che “è fatto con Montepulciano d’Abruzzo e qualcos’altro”, ignorando forse il fatto che si tratta di uve del vitigno Montepulciano e non d’Abruzzo, essendo questa, invece, una denominazione d’origine di un’altra regione, naturalmente. Dopo quest’affermazione sconcertante, grave per un esperto come lui, non posso fare altro che astenermi da ulteriori commenti, lasciandoli a voi, evitando di porre l’accento su aspetti che non fanno altro che confermare quelli che erano i miei dubbi sulla nostra produzione regionale e sull’assenza dalle luci della ribalta, in senso generale, “tranne che per Di Pietro e il terremoto”. Per citare Cernilli, “consentitemi uno sfogo, vi prego. Anche se non me lo posso permettere non avendo tanti anni di onorato servizio nel mondo del vino bla bla…”, di certo non mi manca l’onestà intellettuale, la cultura e la sobrietà con cui ho affrontato diversi aspetti del mondo vitivinicolo. Sono stufo, come molisano, di sentire sciocchezze, approssimazione e superficialità sulla nostra terra e sulle sue produzioni di qualità, che non hanno nulla da invidiare a quelle delle altre realtà produttive nazionali. E’ finiamola, definitivamente, di commiserarci e flagellarci con le nostre mani; urge una svolta decisiva condivisa a tutti i livelli che, stranamente, sento riecheggiare sulle pagine dei giornali, sulle bocche di tutti produttori e su quelle dei rappresentanti istituzionali, ma che di fatto, non si concreta se non con iniziative estemporanee, a comparti stagni, nei diversi settori produttivi della regione. Le comiche lasciamole agli enosnob bacchettoni.
 
Sebastiano Di Maria
 
 

venerdì 9 novembre 2012

U’ BREDETTE E LU VEDRÒTTE A VILLA LIVIA

Stesso piatto, stesso mare, stesse motivazioni, due identità territoriali per due interpretazioni del brodetto di pesce, quello che un tempo, considerati pesci di scarto, appagava l’appetito dei marinai. L’Adriatico con i suoi fondali e le sue buche, le sue triglie e i suoi merluzzetti, le cianchette, le panocchie, le seppie, i calamari, le gallinelle, la razza, lo scorfano, le tracine e, anche le vongole, le cozze, i granchi, esalta i profumi ed i sapori di questo piatto che si trova “da Trieste in giù”, come diceva una vecchia canzone, fino a Termoli, con nomi di versi a seconda delle località: ( brodeto a Trieste, broeto nel Veneto, con quello “ciozoto”, che sta per zuppa di pesce tra Caorle e Chioggia, il più noto; Brodet ad pès in Romagna; el brudet a Fano con altre patrie illustri come Senigallia, Ancona, Porto Recanati e lu vrudette a S. Benedetto del Tronto; lu vedròtte a Giulianova ; lu vredàtte a Vasto; u’ bredétte a Termoli, dove la ricetta è stata registrata davanti ad un notaio con il nome “brodetto termolese di Tornola”.



Un piatto che tocca anche altri mari del mare Mediterraneo. Ieri sera nel grande salone di Villa Livia, sotto la regia di Massimo Mastrangelo, titolare, insieme con la moglie Daniela, anche dell’antica Trattoria Z’Bass in Termoli, e nelle mani sapienti di Loredana Pietroniro e Raffaele Grilli di Slow food Abruzzo – Molise, il confronto tra u’ bredétte alla termolese, preparato dagli chef di Villa Livia e lu vedròtte giuliese (Giulianova), che hanno visto all’opera gli chef dell’Hotel Cristallo per una sala piena di appassionati di cucina e del brodetto in particolare. Un piatto povero, noto nella mitologia per essere stato preparato (senza il pomodoro) da Venere per addolcire il marito irato per un tradimento della stupenda dea dell’amore, che, solo di recente è stato adottato anche dai ricchi, attratti dai suoi delicati profumi, inebrianti che sanno stuzzicare l’appetito anche al peggiore degli inappetenti. Il confronto, che non aveva in sé lo scontro di una gara con un vincitore e uno sconfitto, ma solo il piacere di una degustazione attenta per capire la differenza di sapori che c’era, ed era anche evidente, nel momento in cui erano differenti gli ingredienti e le dimensioni dei pesci, con la presenza di piccoli granchi nel brodetto giuliese, a differenza di quello termolese.



Una serata splendida con ospiti d’eccezione come il noto presentatore televisivo titolare anche dell’Agenzia Vedding planner in Italy, Enzo Miccio, che questa sera presenterà, sempre a villa Livia, il suo libro “Cercando Grace”, edito dalla Rizzoli. Una serata allietata dalla voce stupenda di Iskra Menarini che ha cantato, accompagnata dal bravissimo musicista Leo Ciavarella di origine del Gargano, canzoni del suo amico Lucio Dalla, che manca a tutti quelli che lo hanno seguito e applaudito nel corso di tanti anni. Ora l’attesa del prossimo confronto, sempre grazie a Slow food Abruzzo-Molise, che ci auguriamo arrivi presto per mettere in memoria altri profumi ed altri delicati, incomparabili sapori.

 
Pasquale Di Lena
pasqualedilena@gmail.com

 

giovedì 8 novembre 2012

CHE SIA LA VOLTA BUONA?

Un bicchiere di vino rosso - si dice da sempre - fa buon sangue. Leggenda? Tutt'altro. La saggezza del detto antico trova adesso fondamento scientifico nei risultati delle ricerche scientifico-tecnologiche condotte dall'Iresmo (Istituto ricerche europeo scienze molecolari).
A fare da apripista in questo campo di ricerca erano state due importanti molecole: prima la quercetina e poi il resvetrarolo. Ma da sole - spiegano gli esperti - non erano sufficienti a dimostrare tutti gli effetti del bicchiere di vino rosso sulla salute del consumatore, ancor piu' sulla fluidita' vascolare contro la formazione dei pericolosi trombi per gli eventi patologici cerebro e cardio-vascolari. ''Adesso in laboratorio - sottolinea il prof. Nicola Uccella, ordinario di chimica all'Universita' della Calabria e presidente dell'Iresmo Foundation - sono state sperimentate alcune colture cellulari per identificare l'ingrediente del vino rosso con un vero effetto sulla salute e sul benessere del moderno consumatore, informato, esperto ed esigente. Mistero svelato''. Sono stati scoperti cosi' sostanze attive presenti nella buccia e nei semi dell'uva nera (flavonoidi glucosidi e procianidoici); sostanze che sciolgono il sangue e vasodilatatori.
Insomma, e' merito delle due molecole 'proteggi organismo', la benefica influenza del vino rosso, consumato con moderazione, sulla circolazione del sangue a livello di vasi cardiaci e cerebrali. ''Certo, il buon vino rosso - sostiene ancora Uccella - deve essere fatto per bene. Da uvaggio d'eccellenza, con la giusta rimonta, con la migliore fermentazione alcolica e biologica. Non puo' essere il sano vino rosso del contadino, il vinello da trangugiare in quantita', vera e propria risorsa energetica''. L'Iresmo, nei suoi studi, ha individuato nei fitobioattivi dell'uva rossa, i flavonoidi glucosidi e i procianidoici, quelli che sono i garanti contro gli attacchi di cuore e l'ictus, circostanze spesso, troppo spesso, foriere di decessi.
Ad aver portato alla luce l'efficacia delle sostanze attive sono state ricerche complesse, condotte con la partecipazione di esperti a livello mondiale. Quella che veniva considerata alla stregua di una semplice credenza popolare (il vino che fa buon sangue), sospesa tra il mito e la leggenda, si e' rivelata - secondo gli studi dell'Iresmo - una verita', corroborata dai risultati delle prove scientifico-molecolari, fondamentale per preservare la salute del consumatore e conferire piacevole benessere alla mensa piu' autenticamente mediterranea.
 
Fonte: Ansa
 
Possibili molecole implicate?
 
 
Che finalmente si sia trovata la strada giusta? Pur potendo valutare la bontà di questa ricerca con il tempo, anche dopo i passi falsi del passato, come nel caso del resveratrolo, non posso non astenermi da commenti di fronte a certe affermazioni dell'esimio professore. Come ordinario di chimica organica, al netto dell'elevata qualità dello studio, ha espresso due concetti a dir poco mirabolanti: "identificare l'ingrediente del vino rosso con un vero effetto sulla salute e sul benessere del moderno consumatore, informato, esperto ed esigente", come a dire che quelli all'antica, non informati e senza possibilità economiche possono pure schiattare, cosa che non solo ha confermato nella battuta successiva, etichettando il vino rosso del contadino come semplice "benzina" (non puo' essere il sano vino rosso del contadino, il vinello da trangugiare in quantita', vera e propria risorsa energetica), ma addirittura si è cimentato anche in un sorta di winemaker indicando i passaggi fondamentali della produzione d'eccellenza (uvaggio d'eccellenza, con la giusta rimonta, con la migliore fermentazione alcolica e biologica). Ma i vini dove non si fa uvaggio, per esempio, che fine faranno? E i vini naturali? Insomma, cari sfigati, che il cattivo vino vi "trombi".
 
Sebastiano Di Maria
 
 

mercoledì 7 novembre 2012

IL VINO NEL MOLISE TRA STORIA E ARTE (SECONDA PARTE)

Nel tempo il gusto, anche nel bere, è profondamente cambiato. E’ noto che i vini che beviamo oggi non hanno nulla a che vedere con quelli dei romani o con quelli medievali o anche con quelli dell’epoca moderna con i sostanziali cambiamenti dal Cinquecento ad oggi.
 
Frosolone (IS)
Tralci d’uva sull’altare della Madonna delle Grazie e i Santi Biagio, Francesco e Antonio.
Sec.XVII.

Uno dei manuali che nel XVI secolo ebbe particolare successo è quello scritto dall’agronomo Agostino Gallo (Cadignano, c.a 1499 – Brescia, c.a 1570) (A. GALLO, Le vinti giornate dell’Agricoltura et de’ piaceri della villa, Venezia 1593).
A proposito della fermentazione (che Gallo chiama “bollire”) egli riferisce attraverso un dialogo tra Vincenzo, ospite in una villa-fattoria, e Gio.Battista, esperto viticultore.
Gio.Battista: “Et però non è maraviglia delle tante usanze, che tuttavia si costumano dall’una provincia all’altra. Come si vede in questa Villa, che molti fan bollir vinti, e trenta giorni, e io con altri pochi non passiamo quattro, o sei.”
Vincenzo: “Qual cagione vi move a farli bollire così poco”
Gio.Battista: “Voi dovete sapere, che quanto più bollono i vini, tanto più divengono duri, grossi, insipidi, e alle volte prossimi all’aceto, e simili nel colore all’inchiostro: i quali sono d’abhorrire in ogni tempo; si perché nel bere sono come medicine; e si anco perché offuscano l’intelletto, empiono le vene, legano i membri, affogano il fegato, e satiano talmente ogn’uno, e massimamente essendo di spirito gentile, che non può mangiare, né digerire se non malamente. Et perciò sono da lodare i vini chiari, rossi, che assomigliano à rubini orientali, percioché non tanto si digeriscono facilmente, quanto nel mettervi dentro dell’acqua, restano medesimamente saporiti; cosa che non avviene alla maggior parte degli altri detti”.
 
Gambatesa (CB) - Donato De Cubertino, 1550
 
Il trattato è particolarmente utile per capire come fosse complessa la produzione e la conservazione del vino, ma anche quale cura vi venisse posta.
Sulla produzione di vino nel periodo spagnolo nel Molise non abbiamo conoscenze e solo gli affreschi di Gambatesa possono dare qualche indicazione.
Certo è che nel Molise la produzione di vino divenne nei due secoli seguenti di dimensioni imponenti se è vero quello che riferisce Giuseppe Maria Galanti nel 1781 quando descrive la condizione generale dei Molisani:

Gli abitanti, nel generale, sono rozzi ed ignoranti, ma di benigno ed umano ingegno, ed oltre a ciò laboriosi ed attivi. Non si potrebbe alla bassa gente altro rimproverare che un eccesso nel vino, il cui consumo in questa provincia è enorme. I zapèpatori beono cinque o sei carafe di vino al giorno. In Campobasso il consumo del vino è di 40 m. barili l’anno. Il barile è di 45 carafe, e la carafa di 33 once.
Gambatesa (CB) - Donato De Cubertino, 1550
Immensa è la quantità de’ vini. Isernia ne fa gran commercio con gli Abbruzzesi, che ne abbisognano. Generalmente sono bianchi, graziosi e leggieri. Mirabello, Toro, S. Giovanni in Galdo, Petrella, Lucito producono vini spiritosi e delicati. In molti luoghi i vini sono cattivi, perché noiuna diligenza si adopera nello scegliere que’ vitami che sono più adatti alla qualità de’ terreni ed al clima. L’uso è di piantare molte e diverse sorti di vitami, che insieme non possono far lega, per ottenere il sapore delicato de’ vini, e la loro perfezione. Quindi è ordinaria cosa il vedere nel mese di ottobre, nella stessa vigna, uve mature e perfette, ed uve immature ed acerbe.
(G. M. GALANTI, Descrizione dello stato antico ed attuale del Contado di Molise, Napoli 1781)
(continua)
 
Franco Valente
 


sabato 3 novembre 2012

I PRODOTTI A DENOMINAZIONE D'ORIGINE ARGINE CONTRO LO SFRUTTAMENTO DELL'IMMAGINE NAZIONALE

Un percorso della qualità a cui attribuire un valore. Dop e Igp quali efficaci armi per difendere e tutelare i nostri territori, rilanciare l’agricoltura e vincere la concorrenza sui mercati



Il valore della qualità nei prodotti a indicazione geografica. Era questo il tema del convegno organizzato dal Dipartimento ICQRF (Ispettorato della Tutela della Qualità e Repressioni Frodi dei Prodotti Agroalimentari) e sviluppato sabato scorso al Salone del Gusto di Torino davanti ad un pubblico attento, interessato di produttori, trasformatori e rappresentanti di consorzi di tutela, tra i quali quello del Parmigiano Reggiano e della Mozzarella di Bufala Campana.

 
Pasquale Di Lena durante il suo intervento

Il convegno, coordinato da Nando Cirella, Direttore della rivista “Agricoltura e Innovazione”, è stato introdotto dal Direttore del Dipartimento ICQRF, Dr.ssa Laura La Torre, che, dopo aver portato il saluto dell’Istituto e del Mipaaf, ha riferito degli importanti risultati raggiunti negli ultimi due anni nel campo della Repressione frodi, pari ai venti anni precedenti. Risultati importanti anche nella tutela dei nostri prodotti sui mercati esteri, oggetti, come si sa, di “clonazione”, cioè di sfruttamento dell’immagine. Il valore di questa vera e propria usurpazione è calcolato in sessanta miliardi di euro che l’Italia con i suoi produttori e trasformatori perde. Risultati importanti, grazie a una squadra affiatata – come ha tenuto a sottolineare il direttore della tutela della qualità - operativa sul territorio nell’interesse dei produttori e trasformatori seri, che sono quelli che vengono penalizzati da operazioni di adulterazione e falsificazione, ma, soprattutto, per i consumatori che hanno bisogno di sentirsi garantiti nella scelta della qualità.
 
Il Prof. Vincenzo Peretti
Un consumatore che ha modificato sempre più il proprio comportamento nei confronti della qualità, fino a considerarla valore importante di uno stile di vita improntato sulla sobrietà e la moderazione, oltre che su una sana e corretta alimentazione, che solo la qualità può dare.
E questo grazie ai territori quali contenitori di storia, cultura, tradizioni ed espressione di ambienti e paesaggi unici, e, ai nostri bravi produttori e ai loro consorzi di tutela, impegnati a mettere sulla tavola del consumatore del mondo un prodotto contrassegnato con il bollino Dop, Igp o Stg, che riguarda non solo le 246 eccellenze italiane (154 Dop, 90 Igp, 2 Stg) ma anche le 1118 (548 dop, 532 Igp e 38 Stg) riconosciute nei 27 paesi dell’Unione europea.
Un elemento importante per creare a una strategia di marketing capace di informare e formare il consumatore del mondo che, com’è stato detto, sente il bisogno della qualità e di essere garantito nella scelta anche per difendersi dai processi in atto di omologazione che le multinazionali del cibo, dalla produzione, trasformazione e distribuzione stimolano con ogni mezzo.
Il valore della qualità dei prodotti a indicazione geografica è oggi l’arma più efficace per difendere e tutelare i nostri territori, rilanciare l’agricoltura e vincere la concorrenza sui mercati con un’immagine Dop o Igp vincente che stimola la voglia di visitare i luoghi di origine della qualità e, in questo modo, a programmare, organizzare e promuovere un turismo sostenibile in cerca di emozioni e di esperienze da vivere.
 
L'enologo Riccardo Cotarella
L’incontro, partendo da questi temi, ha visto, con noi che abbiamo parlato del percorso della qualità, protagonisti altri relatori: il comandante del nucleo antifrode dei Carabinieri di Parma, Capitano Marco Uguzzoni, che ha illustrato compiti e risultati nonché l’organizzazione della squadra da lui diretta sul territorio italiano; l’illustre enologo Riccardo Cotarella, professore dell’Università della Tuscia di Viterbo che ha parlato della qualità del vino con particolare riferimento alla vendemmia ultima condizionata fortemente dal clima; il professore Vincenzo Peretti, docente dell’Università Federico II di Napoli, che si è soffermato sulle eccellenze di origine zootecnica, in particolare dei formaggi, che, oltre a essere quelli che hanno salvato dall’abbandono totale territori marginali e le nostre montagne, rappresentano, con 1,9 miliardi di euro la quota più alta del nostro export agroalimentare, con il 70% di questi formaggi eccellenze Dop e Igp.
 
 
 
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