sabato 29 settembre 2012

QUANDO LA DEGUSTAZIONE DIVENTA POESIA: UN VINO DA PRENDERE A MORSI



Qui è dove la naturale esuberanza del frutto non scade mai nella ovvia rappresentazione di se stessa, e della sua vanagloria. Qui è dove la gioventù si fa fremente, ma anche prodiga di dettagli sottili. Qui è dove la gioiosa consistenza di un vino che “scorre” ti fa capire di non aver affatto bisogno di costruzioni attorno. Nella limpida e accecante rappresentazione varietale “nerodavolesca”, hai tutti i pertugi e tutti gli accenti che servono per gettare una luce nuova su una tipologia, e su un vitigno, desiderosi di appartenenza, di connotazione, di “appigli” territoriali certi. Nella vena selvatica e salmastra, metallica e acciugosa dei suoi profumi tutta la potenza espressiva delle migliori contrade di Eloro e della Val di Noto. Nella carnosa sensazione tattile (sì, è vino da prendere a morsi) e nella trascinante, ma mai ridondata, succosità, l’istintività di un bere amico. Nei ritorni di gelso, capperi e menta la stura per lasciarti trasportare lontano. Se tu dovessi esemplificare il concetto di piacevolezza, potresti rappresentarlo con un bicchiere così, senza troppo parlare. Qui, dove la perizia tecnica appare al servizio della veracità, senza intaccarne la sostanza. Qui, in un vino “annata” solare e intenso, maledettamente finto-semplice, implacabilmente armonioso, dalla beva traditrice.
Nella mia cella agostana, alle prese con i giudizi febbrili e le meditabonde schede guidaiole, oggi ho ritrovato un senso e la voglia di comunicare. D’altronde, mi è entrato il mare in casa. A 10 euro, ho il mare in casa.

Fonte: L'AcquaBuona, IGT Sicilia San Basilio 2010 – Riofavara


Balanço - More (1999)

NB Per una lettura migliore della scheda si consiglia questo brano come sottofondo


martedì 25 settembre 2012

A SCUOLA DI AUTOREFERENZIALISMO

“Tintilia e prodotti tipici”, è questo lo slogan della manifestazione tenutasi a San Felice del Molise, domenica 23 settembre, organizzata dall’Associazione culturale comunità Croata del Molise “Luigi Zara”. Tra assaggi, degustazioni guidate e palio delle botti si è parlato anche di Tintilia, sia come vino sia come chiave per la valorizzazione del territorio, tra esperti del settore e una folta rappresentanza istituzionale, tra cui l’Assessore all’agricoltura della Regione Molise, Angiolina Fusco Perrella, e l’On. Sabrina De Camillis, componente degli organi parlamentari in commissione agricoltura della camera. L’obiettivo della manifestazione è stato, secondo gli organizzatori, lo “sviluppo di un’area mettendo in campo tutte le sue risorse, in particolar modo quelle umane”, come consapevolezza delle proprie peculiarità e ricchezze.
Veduta del Comune di San Felice del Molise

Seppur febbricitante, come avevo promesso, ho seguito parte della manifestazione, in particolar modo l’incontro tra addetti al settore, tecnici e classe politica, cercando di scorgere spunti e proposte interessanti che, dopo la bufera dei giorni scorsi sulla crisi del settore vitivinicolo regionale e della Tintilia, potessero dare una scossa di prospettiva. Ci sarà stata? Leggete le prossime righe e giudicate con serenità.
Dopo i convenevoli di rito, prende la parola Pierluigi Cocchini, agronomo ARSIAM, profondo conoscitore del mondo agricolo e vitivinicolo regionale e tra i principali fautori della rinascita della Tintilia. Si è trattato di un approccio tecnico e pragmatico, snocciolando pregi e difetti di un vitigno che, tra passato e presente, può essere la chiave di volta di un territorio e delle sue peculiarità. Dopo una brevissima cronistoria sulle origini e la riscoperta del vitigno, elogiando Claudio Cipressi come pioniere nella coltivazione e vinificazione in purezza, tra l'altro soggetto promotore del convegno, passa alla descrizione del vitigno e della relativa uva, facendo notare alcune particolarità che la rendono adatta alla coltivazione e vinificazione. Innanzitutto "la rusticità acquisita in 300-350 anni di coltivazione nell'areale molisano, che la rende resistente alle crittogame, oltre che a un grappolo spargolo, con acini piccoli e un buon rapporto buccia/polpa", caratteristica fondamentale per vini di qualità. "La produzione molto bassa, che in annate normali si aggira intorno ai 35-40 q.li, è di fatto", secondo Cocchini, "il suo tallone di Achille. Se in passato l'ha portata alla quasi estinzione, perché poco adatta a una viticoltura votata alla quantità, nel presente costringe i produttori a prezzi particolarmente sostenuti, vicini a vini d’indiscusso valore e immagine. Con un prodotto di qualità, tenendo conto dell'anonimato enologico in cui versa il territorio regionale, l'unica soluzione è", sempre secondo Cocchini, "un consorzio di tutela per il vitigno che dia una forte connotazione e condivisione territoriale, cercando la fortuna in mercati esteri". Il Prof. Massimo Iorizzo, docente di microbiologia enologica all'Università del Molise, invece, punta l'attenzione sulle biotecnologie e sulla possibilità di poter "selezionare lieviti autoctoni che conferiscano caratteristiche di unicità alla produzione enologica". Sempre secondo il ricercatore, importante è "la promozione del territorio prima del prodotto", portando l'esempio del Taurasi e della lungimiranza delle amministrazioni locali che "hanno prima costruito un'immagine forte del territorio per poi pensare alla qualità del prodotto".

 

Un momento dell'incontro
 
Dopo la parte tecnica, ecco l'intervento delle istituzioni che, in qualche caso, hanno portato non poco imbarazzo tra i convenuti. Momenti di frizione ci sono stati, infatti, quando Alberto Tramontano, assessore provinciale al turismo, cercando di tracciare le linee guida per "legare le produzioni di qualità al territorio, e in particolar modo alle minoranze linguistiche, attraverso eventi e manifestazioni", denuncia un'impossibilità a operare in tal proposito per la mancanza di risorse finanziarie. Non senza disappunto, l'assessore Fusco Perrella incassa il colpo, e immediatamente dopo, sempre per bocca dello stesso Tramontano, parte un'altra stoccata, "è impensabile che con solo 300.000 €, la disponibilità di quest'anno, si possa fare una promozione seria" e continuando, più nei panni del consumatore questa volta, mette il dito nella piaga di una "lontananza delle istituzioni dalla tintilia" e da un "prezzo troppo elevato del prodotto al consumo". L'assessore provinciale alle attività produttive e allo sviluppo locale, Rita Lisia Colaci, intervenuta immediatamente dopo, pone l'accento, invece, sulla "necessità di fare un'opera promozionale comune utilizzando anche altre manifestazioni del territorio, come il Girolio che si terrà il 15 dicembre a Larino", e denuncia, anch'essa nei panni del consumatore, "l'assenza di una carta dei vini molisani in molti ristoranti della regione, fatto molto grave". L'On. Sabrina De Camillis, dopo un lungo discorso sulla razionalizzazione delle risorse energetiche regionali, chiosa affermando che "bisogna creare un marchio forte regionale, legando produzione e territorio, con una rete che permetta di accedere ai mercati attraverso istituzioni stabili e forti".
Le conclusioni toccano all'Assessore regionale all'agricoltura, Angiliona Fusco Perrella, che sentenzia in maniera decisa "la necessità di porre fine a un'epoca di autoreferenzialismo e campanilismo", ponendo l'accento sugli investimenti fatti tramite i PSR, con "oltre trecento nuovi insediamenti e di come dall'agricoltura e dai giovani bisogna ripartire dopo periodi di crisi e di guerre", citando un suo avo. "Non possiamo più sbagliare", continua la Perrella, "è il momento di scelte importanti per la regione, come la prossima PAC, data la grossa quantità di risorse a disposizione e dopo la quale dobbiamo essere in grado di camminare da soli".
L'incontro si chiude con una degustazione guidata da un sommelier AIS, che illustra alla platea le tecniche di base per una corretta valutazione del vino.
 
 
 
Considerazioni personali. Purtroppo ho dovuto costatare, ma come avevo già ampiamente immaginato, l'organizzazione di un evento fine a se stesso, ossia su misura per la realtà territoriale in questione e completamente slegato dalla realtà produttiva regionale, come c'è ne sono diversi in giro. La dimostrazione di questo scollamento, figlio di un'autoreferenzialismo, come l'ha definito giustamente l'assessore Fusco Perrella, è dovuto alla contemporaneità dell'evento con la fase finale del campionato nazionale dei sommelier AISP che si è svolto a Termoli a margine della manifestazione "Divinolio", oltre che ad un'organizzazione affrettata e poco pubblicizzata all'esterno. Con tutto il rispetto per San Felice del Molise, borgo straordinario, com'è straordinario il suo territorio e il legame che il popolo di origine croata ha con lo stesso, queste iniziative portano a uno smembramento di una realtà regionale che ha già difficoltà oggettive di numeri e di visibilità. Non si può pensare di creare un marchio d'area del Trigno, come sostenuto da un sindaco di un comune limitrofo, prontamente redarguito dagli amministratori convenuti, come non è concepibile pensare di fare sviluppo di un territorio intero senza una programmazione seria che metta a disposizione risorse e competenze. Altro dato su cui discutere è, come l'ha definita Pierluigi Cocchini, la necessità di trovare, in un momento di calo delle vendite in Italia, canali che permettano di conquistare i mercati esteri. Considerazione fuori da ogni logica, anche se dette da un professionista serio e preparato, se pensiamo che non siamo in grado di vendere il nostro prodotto nella nostra realtà, come testimoniato dagli illustri convenuti, per motivi di costo elevato e poca visibilità nel settore ristorativo, e di una mancanza di cultura del vino nell'intero tessuto regionale. Lo stesso Cocchini, di origini abruzzesi, aveva in precedenza affermato che nei ristoranti di Pescara e della regione, non ci si siede a tavola e si consuma senza una bottiglia di Montepulciano d'Abruzzo, proprio quello che manca a noi e, sinceramente, mi sono stufato di ripeterlo. Una maggiore consapevolezza delle proprie produzioni di qualità e una maggiore visibilità, già in ambito ristorativo, permetterebbero, a fronte di un maggior consumo, di abbattere i prezzi di un vino che, per diversi motivi prima accennati, rischia di essere un prodotto di nicchia o da gourmet, come definì tempo fa un produttore regionale, parlando in termini generali dei suoi prodotti enologici, preoccupandosi di auto referenziarsi come "marca". Questi sono solo alcuni dei dati oggettivi che portano "la nostra realtà enologica a contare zero", testuali parole di Cocchini, "in ambito nazionale", definizione che mi sento di sposare in pieno, purtroppo. E' questa l'occasione, visto anche la rimodulazione a breve dei fondi comunitari come dichiarato dall'Assessore Perrella, di serrare le fila e di mettersi intorno ad un tavolo per decidere se dare nuovo slancio a questa regione attraverso la Tintilia e alle altre produzioni di qualità, o rischiare di restare schiacciati da un'invasione selvaggia di impianti per energie pulite, di cui abbiamo già dato tanto in termini di fotovoltaico ed eolico, o di perforazioni selvagge che, scusate il sottile parallelismo poco ortodosso, fanno male in tutti i sensi.
 
Sebastiano Di Maria

sabato 22 settembre 2012

I BLOG NON SONO EQUIPARABILI ALLA STAMPA: SENTENZA STORICA DELLA CASSAZIONE

 
 
Una sentenza storica su un argomento che sta provocando da anni polemiche continue ha stabilito proprio in questi giorni che i blog non sono un prodotto editoriale e quindi non sono equiparabili alla stampa clandestina.
La Corte di Cassazione è stata chiamata a pronunciarsi in merito al caso del sito accadeinsicilia.net (ormai chiuso dal 2004) curato dallo storico siciliano Carlo Ruta. Il blogger aveva dovuto rispondere di un’accusa del procuratore della Repubblica di Ragusa Agostino Fera per alcuni commenti giudicati diffamatori pubblicati sul suo blog. Il blog era stato giudicato “stampa clandestina” in ben due gradi di giudizio, facendo riferimento alla legge sulla stampa numero 47 del 1948 che obbliga le testate giornalistiche ad iscriversi in Tribunale. A sei anni dalla prima condanna il giudizio è stato capovolto. E a sentire i motivi che hanno portato a questa decisione sembra incomprensibile come si sia dovuti arrivare in cassazione. I giudici, infatti, hanno preso in considerazione l’articolo 1 della legge 47/1948 che considera “stampe o stampati tutte le riproduzioni tipografiche o comunque ottenute con mezzi meccanici o fisici, in qualsiasi modo destinati alla pubblicazione” e hanno spiegato che “Ai fini della sussistenza in senso giuridico del prodotto stampa necessitano due condizioni: un’attività di riproduzione tipografica e la destinazione alla pubblicazione del risultato di tale attività“.
Detto questo, continuano i giudici “il giornale telematico non rispecchia le due condizioni ritenute essenziali ai fini della sussistenza del prodotto stampa. La normativa di cui alla legge 7 marzo 2001, n. 62 – inerente alla disciplina sull’editoria e sui prodotti editoriali – ha introdotto la registrazione dei giornali online soltanto per ragioni amministrative ed esclusivamente ai fini della possibilità di usufruire delle provvidenze economiche previste per l’editoria.
In pratica, se non si vogliono ricevere contributi all’editoria non si è in obbligo, come testata telematica, alla registrazione presso il Tribunale.
Con questa sentenza Carlo Ruta non dovrà pagare i 150 euro di ammenda, ma la vittoria ha una portata ben più ampia rispetto alla pena pecuniaria evitata. Come fa notare l’avvocato di Carlo Ruta Giuseppe Arnone: “Questa sentenza, motivata con chiarezza ed essenzialità, è un fatto di portata straordinaria. Abbiamo ottenuto un risultato enorme per la libertà d’informazione, che è un cardine della democrazia. Ora, siamo più liberi ed Internet è riconosciuto come strumento fondamentale per un esercizio maturo dei diritti d’informazione e di espressione.
Ha poi fatto sottolineato come questa sentenza “susciterà sconcerto negli ambienti che mirano a limitare la libertà sul web, perché è difficile che ne sfuggano le implicazioni ed il valore democratico che spero si traducano in una legge“.
 
Fonte: Peeplo
 
 

"AGRICOLTURA &TERRITORIO" E IL MOLISE ALLA CIA DI ROMA

 
 
“La crisi dell’agricoltura è il segnale che fa capire che l’economia generale non va e che bisogna porre rimedio se non si vuole arrivare al tracollo”. “L’agricoltura resta, nonostante l’abbandono culturale prima ancora che politico, il perno dell’economia mondiale, ancor più in paesi come l’Italia”. Sono questi alcuni passaggio del libro “Agricoltura & Territorio” di Pasquale Di Lena, presentato il 20 settembre a Roma, presso la sede nazionale di Via Mariano Fortuny, a cura della Cia, in collaborazione con la Fondazione Humus. “L’agricoltura -scrive nella presentazione del libro Donato Campolieti, direttore della Cia del Molise- è una missione che bisogna portare a compimento con professionalità e, ancor più, con dedizione e passione, il ‘quid’ necessario alla riuscita della stessa. La stessa passione con cui l’autore del libro coglie ogni occasione per diffondere e promuovere la cultura legata all’agricoltura e alla ruralità. Un libro che la Cia Molise è ben lieta di pubblicare e porre all’attenzione non solo del mondo agricolo, soprattutto, dei giovani”. Aspetti questi che sono stati evidenziati nel corso della presentazione del libro presso la sede della Cia nazionale alla quale ha partecipato anche l’autore Pasquale Di Lena. Alla presentazione del libro sono intervenuti Giuseppe Politi, presidente nazionale della Cia, Giovanni Cannata, rettore dell’Università del Molise, Luigi Santoianni, presidente della Cia Molise.
 
 
 
Pasquale Di Lena, laureato in scienze agrarie, è stato tra i dirigenti fondatori della Confederazione italiana coltivatori (Cic), membro della presidenza della Cic Toscana, segretario generale dell’Ente mostra vini di Siena, vicepresidente dell’Unione nazionale delle Associazioni vitivinicole. Consigliere regionale della Regione Molise ed oggi imprenditore agricolo. Alla presentazione del libro, c’era anche Il Molise con i suoi ambienti ed i suoi paesaggi, il verde che lo colora, i vini e gli oli che arredano la sua tavola e arricchiscono di profumi e di sapori la sua ricca cucina. Quella cucina che riporta alla transumanza, a questo andare e tornare dai monti al piano e dal piano ai monti, a segnare i tratturi ed a utilizzare le energie offerte dalle stagioni. Numerosi i punti, sottolineati dai relatori, dai quali ripartire per pensare al futuro della nostra Regione da considerare uno straordinario laboratorio per l’intero Paese, che, come la crisi dimostra, ha sempre più bisogno di Agricoltura e Territorio.
 
dal Blog di Pasquale Di Lena
 

venerdì 21 settembre 2012

PUNTO DI NON RITORNO? "NON SEMBRA"

Purtroppo le previsioni pre-vendemmiali di diversi produttori di uve Tintilia, come ho avuto modo di raccontarvi, si sono dimostrate fondate. L'ennesimo servizio cronistico in proposito, realizzato dalla testata giornalistica regionale della RAI, da la prova di una difficoltà oggettiva nella commercializzazione di quello che doveva essere il simbolo del rilancio dell'intero settore regionale. Senza tediarvi con i soliti discorsi, di cui ho avuto modo di esprimermi in maniera diffusa già in altre situazioni, un altro dato emerge dall'intervista che ritengo giusto approfondire.
 
 
 
Il produttore, Angelo D'Uva, parla di un assestamento e di una contrazione del mercato, figlia del periodo di crisi economica globale e di un cambiamento di moda nei consumi di vino che porta a privilegiare, sempre secondo il produttore, i vini a basso impatto ambientale, come biologici e biodinamici. In realtà, più che di una moda si tratta di una necessità che il consumatore avverte, di una nuova consapevolezza acquisita che spinge verso il consumo di vini che privilegino la tutela dell'ambiente e la salute del consumatore. In tal senso è andato il Regolamento di Esecuzione (UE) N. 203/2012 della Commissione dell’8 marzo 2012 che regolamenta la produzione del "vino biologico", di cui ho parlato in maniera diffusa nel blog.
Purtroppo anche questa occasione, come del resto ogni volta che si presentano nuove opportunità di mercato, ha decretato, di fatti, una conversione a biologico di molti vigneti anche nel nostro paese, in particolar modo per grandi marchi. Della serie: "piatto ricco, mi ci ficco". Purtroppo il messaggio che si è fatto passare, soprattutto da addetti al settore come il Direttore Generale di Assoenologi, Giuseppe Martelli, è tutt'altro che chiarificatorio ma, anzi, pone il vino biologico alla stregua di un vino convenzionale, soprattutto in termini salutistici: "è la salute del consumatore o solo l'ambiente a trarne vantaggio dalle coltivazioni biologiche?". Come se un ambiente più sano non centri niente con la salute del consumatore.
 
 
 
Altro dato, che il produttore sottolinea, è la contrazione del mercato del vino in un momento di crisi globale, che ha colpito gli autoctoni in  maggior misura. In realtà il discorso è semplicistico e non rispondente alla realtà. Se si vanno a guardare i dati dell'esportazioni del primo semestre del 2012 (ISTAT),  i volumi continuano a calare a causa del crollo delle esportazioni di vino sfuso a basso prezzo, dimostrato anche dalla tenuta dei fatturati, mentre le vendite di vino imbottigliato e ancor di più quelle di spumanti danno segni positivi nel mese di giugno (+7% e +22% rispettivamente). Il semestre, quindi, chiude in crescita del 7,2% sullo stesso periodo del 2011, con volumi in calo dell’11% per i vini sfusi, mentre il prezzo medio è cresciuto di conseguenza del 20% che corrisponde a circa 2,1 € a Kg di uva.
 
Elaborazione dati ISTAT di Marco Baccaglio
 
Se poi guardiamo, invece, i dati del Molise circa il valore della produzione integrata di vino, c'è una crescita in valore del 7% a 2,7 milioni di €, contro i dati negativi a livello nazionale, come già avevo sottolineato in questo post. Quindi, concretamente, la qualità della produzione enologica regionale è aumentata a dispetto di una contrazione nazionale, pur di fronte ad una caduta vertiginosa della superficie vitata, ma siamo vittima di una difficoltà oggettiva in un mercato che va a gonfie vele, soprattutto per le produzioni di qualità. Dov'è l'inghippo? E' facile da individuare: paghiamo lo scotto, in un periodo nero, della mancanza di una strategia comune di promozione e di diffusione capillare nei diversi canali distributivi, mentre ci affidiamo alle singole capacità imprenditoriali di fare mercato di "marca", come ribadito nell'intervista da Pasquale Di Lena. E il Molise con la Tintilia e il suo territorio dove sono? Da nessuna parte. 
 

Elaborazione dati ISTAT di Marco Baccaglio
 
Purtroppo questi dati mettono a nudo una difficoltà di mercato per il Molise per i vini di qualità e per la Tintilia tanto che, pur con un vero e proprio crescendo di consensi negli anni, come del resto per gli autoctoni in tutto il paese, in assenza di un legame con il territorio ed a una realtà produttiva, sono destinati ad un lento declino.


EDIT


Vi sarete chiesti di quel non sembra virgolettato nel titolo. In realtà avevo scritto il post in fretta e furia stamane, dopo aver visionato il servizio giornalistico in questione. Prima di pubblicarlo volevo dargli una riletta per evitare errori grossolani, e me ne scuso dell'eventuale presenza, ma è stato più forte di me aggiungere questa piccola nota a margine e quindi nel titolo. Aprendo la posta elettronica, infatti, ecco comparire un invito ad una manifestazione enogastronomica in quel di San Felice del Molise con il tema centrale, giuro che non lo sapevo, la "Tintilia per la valorizzazione del territorio".  Scorrendo la lista dei relatori c'è da leccarsi i baffi, ricca com'è di personalità di alto profilo politico-amministrativo. Sarà la volta buona o, visto il clima pre-elettorale, la solita passerella? Voglio essere ottimista e questa non me la perdo per niente al mondo. A presto per i risvolti.

 

 
Sebastiano Di Maria

sabato 15 settembre 2012

GRANDE TINTILIA, GRANDE MOLISE

La vite è una straordinaria pianta non solo per l’uva ed il vino che dà ma anche per la sua capacità di sapersi adeguare alle situazioni estreme per quanto riguarda il caldo ed il freddo. La dimostrazione l’ha data la vendemmia in corso con risultati, per ciò che riguarda la qualità, eccellenti in tutte le regioni, però un po’ diversificati (minor produzione al centro nord e più al centro sud di fronte allo scorso anno) per le quantità. A tale proposito ci sono previsioni contrastanti da parte dell’Assoenologi, che parla di 41/42 milioni di ettolitri di vino, e da parte dell’Unione Italiana Vini, che accusa una perdita dell’8% di fronte allo scorso anno, ciò che vuol dire appena 39 milioni di ettolitri. In pratica, se si conferma questo dato, la vendemmia 2012 sarà, per il nostro Paese (l’Enotria tellus) la peggiore, con riferimento alla quantità, in assoluto. Dentro questo quadro abbastanza preoccupante per la nostra vitivinicoltura, e la stessa agricoltura, si registra la situazione in controtendenza del Molise, con più produzione dello scorso anno e di ottima qualità.
 
Un risultato positivo annebbiato dalla denuncia di alcuni produttori di uve Tintilia che un servizio del Tg3 Molise a firma di Enzo Ragone, come sempre attento e puntuale, ha riportato. La nostra speranza è che la preoccupazione dei due produttori intervistati sia solo frutto della paura che, da qualche anno cioè da quando l’incertezza del mercato è al massimo, tocca i viticoltori alla vigilia della vendemmia. Una speranza, però, non ci deve far stare tranquilli, o in silenzio, proprio perché parliamo del vino Tintilia, il grande testimone della vitivinicoltura molisana, già fonte di preoccupazione pochi anni fa, quando c’è stato chi ha pensato bene di imbrattare la sua immagine di grande vino rosso derivato da uva autoctona del Molise, appunto la Tintilia. Una vicenda che abbiamo contrastato con rabbia, brutta, che a noi ha dimostrato la poca consapevolezza del valore e de ruolo di questo nostro unico vino tutto molisano e la scarsa conoscenza delle regole fondamentali del marketing. Per fortuna il pericolo di uno svuotamento dell’immagine “Tintilia” è rientrato con il nuovo disciplinare della Doc “Tintilia del Molise”, finalmente non più parte della Doc “Molise” e, in questa nuova situazione, in grado di svolgere ancora più quel suo ruolo di testimone e di volano della vitivinicoltura molisana. Niente s’inventa dall’oggi al domani, soprattutto nel Molise che non si è mai dato una programmazione, e, ancor più, nel mondo dell’agricoltura e della vitivinicoltura molisana, con una forza dirigente dominante che non hai mai vissuto l’emozione della progettazione, ma solo l’eco fastidiosa delle promesse e della distribuzione dei pani e dei pesci pagati cari dall’agricoltura e dal mondo dei coltivatori. Ha ragione Sebastiano Di Maria nella sua analisi degli errori del passato che, ora, stanno condizionando il presente e il futuro della vitivinicoltura molisana. Un mondo che non ha mai pensato a darsi una strategia di marketing, aprendo, di fatto, a improvvisazioni pagate con moneta pesante dalle istituzioni e dal contribuente. Improvvisazioni e, anche, incapacità di cogliere tutte le opportunità che avrebbero dato risposte ben più esaurienti e interessanti di quelle che pur ci sono state negli ultimi dieci anni.
 
La Tintilia è l’esempio più lampante di quello che stiamo dicendo, nel momento in cui è stata recuperata dallo stato di abbandono e di sicura estinzione, quando stava per prendere forma il profondo sconvolgimento del quadro della vitivinicoltura regionale dovuto all’inserimento di nuove aziende imbottigliatrici, tutte in mano a giovani. Entusiasti ma frenati dai vuoti prima denunciati, che, tuttora, continuano a vivere da isolati invece di essere membri di una squadra e, con la bandiera della Tintilia nelle mani, conquistare il mercato, a partire da quello locale per allargarsi come i cerchi concentrici provocati dal lancio di un sasso in uno stagno. C’è un’occasione, che proprio la Tintilia dà con il suo riconoscimento Doc, da cogliere per liberarsi delle catene del passato e vivere da imprenditori la propria individualità e le proprie responsabilità: la costituzione di un consorzio specifico per questa denominazione, così come richiesto dalle normative vigenti.  Un consorzio in mano ai produttori e trasformatori di Tintilia, che opera per la tutela e la valorizzazione di un vino che ha dimostrato di avere tutte le carte in regola per la sua completa affermazione. Insieme per costruire, con la Tintilia, il futuro della vitivinicoltura molisana avendo, però, la pazienza di aspettare i tempi e le stagioni che servono perché questa sua affermazione maturi. In questo modo nessun produttore di uve Tintilia penserà di spiantare, ma di costruire con la forza del dialogo e dell’unione l’immagine di questo vino e, con essa, la fortuna dei territori di origine.
 
Pasquale Di Lena
 
 

giovedì 13 settembre 2012

L'ALTRA TINTILIA


Nell'edizione pomeridiana del TG3 regionale del giorno 6 settembre, in pieno clima vendemmiale, è andato in onda un servizio sul futuro della vitivinicoltura molisana e in particolare sulle sorti della Tintilia, l’autoctono simbolo dell’enologia regionale. Non conoscendone il contenuto, sono andato alla ricerca del video che mette a nudo, dopo aver tessuto lodi e incensato il vitigno e il relativo vino da più parti in questi ultimi anni, non senza stupore, un vero e proprio malcontento in diversi produttori che, per chi vive quotidianamente questa realtà come il sottoscritto, sono più di un semplice campanello di allarme. In un periodo di crisi e di contrazione del mercato, che in generale non ha intaccato il sistema vitivinicolo nazionale, si osserva, di contro, un’inversione di tendenza per le cantine private della regione che si sono approvvigionate negli anni delle uve prodotte da terzi, in particolare di Tintilia, per far fronte all’aumento della domanda. Le difficoltà oggettive di vendita del vino Tintilia in questo periodo, come affermato dai viticoltori intervistati, fa vacillare, di fatto, questo mercato trasversale che teneva in vita parte della vitivinicoltura regionale, o di quello che resta dopo la mattanza dell’estirpazione massiccia che ha portato la superficie dai 9.236 Ha del 1982 ai 4.173 Ha del 2010 (dati del censimento agricoltura ISTAT 2010).
 
 
Partiamo da lontano e cerchiamo di capire quali sono i fattori che hanno determinato questo saldo negativo del 29%, solo nel decennio 2000/2010, sulla superficie viticola e sullo sviluppo del mercato enologico regionale, in particolar modo per la Tintilia. Come già ho avuto modo di parlarne in altri articoli, la Tintilia ha rappresentato il vero punto di svolta del comparto vitivinicolo regionale, non tanto per il recupero del materiale genetico o delle aree interne e marginali, di cui era padrona indiscussa fino agli anni ’50 tanto che l’attuale territorio della regione Molise era il più vitato del centro-sud con oltre 22.000 Ha, ma soprattutto come simbolo di un’unità enologica territoriale ben determinata, un grimaldello che potesse aprire nuovi scenari di mercato e fare uscire un’identità territoriale pressoché sconosciuta. Il primo errore fu commesso, dopo la riforma fondiaria, con la conversione delle aree marginali interne a cerealicoltura e lo sviluppo di una viticoltura estensiva nel basso Molise, votata alla quantità più che alla qualità, per scelte politico-produttive, come dimostra l'utilizzo del sistema d’impianto a tendone, che decretano la nascita di grandi cantine cooperative. Purtroppo questa scelta si è dimostrata fallimentare, non tanto per la qualità delle produzioni o della laboriosità dei viticoltori, mai in discussione, ma quanto per scelte politiche ed economico-organizzative che hanno trasformato delle solide realtà cooperativistiche, o presunte tali, in veri e propri bacini di voti e in un coacervo d’interessi personali e di sperpero di denaro pubblico. Questa miopia ha portato, di contro, ed eccoci arrivati ai giorni nostri, a una crescita forte di cantine private che, grazie a una territorialità inespressa e a un vitigno a essa intimamente legato, hanno dato nuova linfa a un settore ormai in decadenza. Ed ecco i primi riconoscimenti per diversi vini, tra cui la Tintilia, e per diverse cantine della regione, fino a qualche decennio fa ad appannaggio di una sola realtà territoriale. Bisognava cavalcare l’onda ed ecco, quindi, nuovi impianti di vigneti e riconversioni varietali con il vitigno Tintilia a farla da padrone, anche grazie all’aiuto comunitario contenuto nella relativa OCM e sotto l'azione della politica agricola regionale. Tutti, a diverso titolo, addetti e non, hanno “cavalcato” l’onda emotiva distogliendo lo sguardo, probabilmente decisivo, di una corretta opera promozionale e di marketing che non tenesse conto dei diversi campanili, che purtroppo esistono. E non bastano dichiarazioni di comunità d’intenti sulla necessità di una strategica opera di marketing, come si evince dalle interviste che i singoli produttori rilasciano. A titolo esemplificativo, per esempio, c’è chi ha deciso di affidarsi a firme dell’enologia internazionale come chiave del successo e chi, invece, si trova a lottare quotidianamente, spesso in prima persona, per cercare di mantenere o di non perdere quote di mercato. Qual è la promozione strategica regionale? Qual è il ruolo e quali sono le attività svolte dal Consorzio di tutela dei vini della regione Molise? Cosa sono le strade del vino, e mi sono stancato di dirlo, se non delle fredde tabelle, peraltro di difficile interpretazione, poste ai bordi delle strade della regione?
 
Fonte: I numeri del vino
 
Certo, ci sono diverse persone che cercano di mettersi a servizio delle aziende e del territorio spendendo la propria professionalità e il proprio bagaglio personale, come l’amico Pasquale Di Lena, già segretario generale dell’enoteca italiana di Siena, che tanto sta dando in termini di visibilità all’intero territorio regionale e alle sue ricchezze storico-culturali ed enogastronomiche. Dai produttori intervistati, quindi, è lampante un sentimento di scoramento e d’impotenza di fronte all’evolversi del mercato: essere costretti a estirpare un vitigno di cui si sono visti incentivare la riconversione o il nuovo impianto. Purtroppo qualcosa scricchiola e non è solo da imputare all’agonia delle realtà cooperativistiche regionali, costrette ad accontentarsi di mercati marginali o di medio-basso profilo, peraltro avvalorato dal fuggi-fuggi verso realtà del vicino Abruzzo (ma qualche produttore non parlava di un rischio concreto di scippo della IGP Osco o Terre degli Osci?) o dalla svendita sul mercato delle proprie uve per realtà produttive ben lontane dalla nostra, soprattutto per il Trebbiano, ma in parte anche per il Montepulciano.  Da cosa dipende tutto ciò? La mia piccola esperienza, al di fuori dei confini regionali, ha messo a nudo una realtà che ai miei occhi poteva sembrare diversa. Non mi riferisco assolutamente alla qualità e alla bontà delle nostre produzioni di qualità, mai messa in discussione, ma quanto ad una visibilità pressoché nulla. Il punto che forse si è trascurato maggiormente, e che non mi stancherò mai di ripetere, è rappresentato dai volumi di prodotto da immettere sul mercato, troppo piccoli perché possano diffondere capillarmente già nel solo territorio nazionale. Basti pensare che la DOC Montepulciano d’Abruzzo, per fare un esempio a noi vicino, diffusa e conosciuta in campo internazionale, nel 2010 ha denunciato oltre 10.000 Ha d’impianti e circa 900.000 ettolitri di vino. Ed è solo una delle denominazioni, anche se tra le più grandi d’Italia, e il confronto dei numeri è impietoso. Da dove partire allora? Intanto radicando il consumo del vino e della Tintilia già in ambito regionale attraverso una comunione d’intenti, su cui c’è ancora molta diffidenza e scarso appeal ad appannaggio del Montepulciano come vitigno, più diffuso e di qualità indiscussa.


 
Naturalmente mi riferisco al “consumatore quotidiano”, alle nuove generazioni, e non ai soloni della degustazione o presunti tali, di cui pullula la medio - alta borghesia enofila, educarli a un consumo consapevole, alla riscoperta del territorio, sdoganando il concetto di vino come bene di lusso, cosa che molte aziende stanno facendo anche come tendenza del mercato ma che non rispecchia la realtà. Solo con una consapevolezza maggiore delle proprie potenzialità a 360°, coinvolgendo anche altre produzioni di qualità indiscussa, come olio extravergine e tartufo, solo per citarne alcuni, in un contesto di ruralità senza eguali in termini percentuali nel nostro paese, si può immaginare di uscire da un sostanziale stato di anonimità che, aimè, tranne qualche distinguo più frutto di opera individuale, è tangibile al di fuori dei confini regionali.

Sebastiano Di Maria
molisewineblog@gmail.com



martedì 11 settembre 2012

QUANDO LA DEGUSTAZIONE DIVENTA POESIA: "LUMINOSO PER IL CANDOR IN FLOREALITA' DELLA SUA POLLINARE SUADENZA EMISSIVA"



Oh come vastissimo s'irradia questo profumo. Luminoso per il candor in florealità della sua pollinare suadenza emissiva. Un'onda alta ed intensa di tersità floreale, di cedro, d'agrume, gelsomino, con le più profonde propaggini d'aroma che giungono alle perdute dolcezze d'un ciliegio e d'una acacia di linfatico fulgore. Una potenza e una ricchezza olfattiva di assoluto nitore. Un palato che di detta limpidezza è polposa e fragrante armonia. Acidità e morbidezza con-fuse in un sapor di stupenda morbidezza impressiva. Equilibrio e integrità del gusto, viticoltura ed enologia di contemporanea perfetta simbiosi all'origine della sua silvestre, sgargiante purezza sensoriale-compositiva. Fra i migliori bianchi in assoluto dell'anno. Fra i profumi più ampi e complessi di sempre, chapeau.

Fonte: Luca Maroni, Vermentino Le Strisce 2008


Balanço - More (1999)

NB Per una lettura migliore della scheda si consiglia questo brano come sottofondo


sabato 8 settembre 2012

I SEMI DI MIO NONNO

A volte capita di doversi mangiare le mani per qualcosa che si sarebbe potuto fare ed invece non si è fatta. A me è successo ripensando ai semi perduti di mio nonno, Alberto De Lena, che faceva l’agricoltore in un paese del Molise frentano (preferisco usare quest’espressione molto più identitaria rispetto a “Basso Molise”, su suggerimento dell’ottimo Marcello Pastorini dell’associazione “Itinerari frentani”).
 
 
 
L’ho conosciuto ovviamente che era già anziano ed è grazie alle giornate estive trascorse con lui in campagna che io, nato cittadino, mi sono appassionato all’agricoltura, fino a scegliere di frequentare la facoltà di Agraria. Quando purtroppo è morto, ero uno studentello abbastanza ignorante e non capii l’importanza, simbolica ma, ora dico, anche estremamente pratica, di riprodurre i semi degli ortaggi che mio nonno aveva lasciato, custoditi in scatolette di latta, nello scantinato. Dopo qualche anno quei semi persero la facoltà germinativa e furono gettati via. Come gli agricoltori facevano nel secolo scorso mio nonno solo raramente acquistava i semi presso negozi o fiere e mercati; quando ciò avveniva era per “rinsanguare” quelli che normalmente produceva da sé, scegliendoli dalle piante migliori del suo orto. In altre parole faceva lui il miglioramento genetico e, poco a poco, di ogni specie coltivata (melone, pomodoro, insalate ecc.) si veniva a creare uno stock varietale adatto al suo terreno ed alle sue esigenze. 
Operando in questo modo, come tantissimi piccoli agricoltori italiani, si è creato nel secolo scorso (e nei precedenti) quel ricchissimo patrimonio di varietà orticole presenti nel nostro Paese, sì che ogni provincia, persino ogni contrada, avevano la propria varietà, la propria tipicità.  Poco a poco però gli agricoltori hanno ceduto questa loro importantissima azione a ditte specializzate, le ditte sementiere. Finché si tratta di normali aziende agricole evolutesi e specializzatesi nella produzione di semente ciò ha rappresentato una logica e positiva evoluzione nel modo di produrre sementi e mantenere biodiversità. Il problema sorge quando però il controllo della semente passa nelle mani di grosse aziende, multinazionali, il cui obiettivo principale è quello di dominare grosse fette di mercato e rendere dipendenti gli utenti, cioè gli agricoltori, dalle loro decisioni. Poco a poco l’agricoltore è stato espropriato dell’importantissima funzione di custode della biodiversità coltivata, e della possibilità di reperire la semente più appropriata per le condizioni agro-ambientali della sua azienda. Nel caso specifico delle colture orticole, inoltre, un altro fattore sta nella abitudine, ormai generalizzata da parte di agricoltori, sia professionali che hobbysti, di utilizzare piantine da trapiantare acquistate in vivaio, e non di prodursele da sé, o fare la semina diretta. Naturalmente i vivaisti tendono ad acquistare le sementi dalle grosse ditte sementiere e solo in pochi casi promuovono e diffondono le varietà locali.
Di recente in Molise 3 associazioni. Aiab Molise, Arca Sannita e SlowFood (presidio di Termoli) hanno presentato all’assessorato all’Agricoltura una proposta di legge volta proprio a ridare un ruolo attivo agli agricoltori per la conservazione e valorizzazione della biodiversità coltivata. Ciò non solo per salvaguardare e rendere disponibili le poche varietà tradizionalmente coltivate nel nostro territorio ed ancora disponibili, ma anche per contribuire al loro miglioramento. Non bisogna infatti pensare che un patrimonio genetico sia qualcosa di definito, stabile ed immutabile: all’interno di ogni varietà si possono selezionare ceppi (ecotipi quando ciò avviene in modo spontaneo) migliorati che eliminino alcune caratteristiche negative (es. la suscettibilità ad una data malattia) e ne esaltino altre positive (ad es. i caratteri organolettici, le dimensioni del frutto, l’adattamento ad un terreno marginale ecc.). Questo utile lavoro di selezione e miglioramento può essere fatto dagli stessi agricoltori che anzi, proprio perché legati ad uno specifico e particolare ambiente, quello della loro azienda, possono, con gli anni e l’esperienza, ottenere ottimi risultati in questo senso, affiancati da ricercatori e tecnici. Si tratta in sostanza di introdurre e diffondere anche nella nostra regione il cosiddetto “miglioramento genetico partecipativo”, di cui massimo esperto è il prof. Salvatore Ceccarelli, genetista che, grazie alla collaborazione di Aiab Molise al progetto “Solibam”, è stato a visitare alcune aziende molisane nello scorso mese di giugno.
 
 
Paolo Di Luzio (Agronomo, Presidente AIAB Molise)
 
 
 

martedì 4 settembre 2012

ECCO LA CARTOLINA DEL MOLISE

Ecco la mia "Cartolina" di presentazione del Molise che Adriano Del Fabro ha inserito nel libro "Abbecedario dei vini d'Italia" appena uscito per le Edizioni Del Baldo di Verona e non Del Balbo com'è stato riportato nelle precedente comunicazione.
 
Veduta del comune di Ripalimosani (CB)
 

Molise - Cartolina enoica di Pasquale Di Lena
 
Un tempo non lontano e per millenni di anni il Molise, quale terra di transumanza e di tratturi e, come tale, di passaggio e di scambi culturali e mercantili, ha svolto un ruolo di snodo tra l’Italia del centro e del nord e quella del sud. Ora è solo terra di transito con l’effetto tunnel che crea un’autostrada, nel caso considerato quella che costeggia l’Adriatica e collega l’Abruzzo con la Puglia. Qualche decina di chilometri il tratto segnato da dolci colline che, dal Trigno al Saccione, scivolano lentamente per tuffarsi nel mare di quel minuto golfo che collega Vasto con il Gargano. Al centro l’antico Borgo di Termoli, incantevole faro e le isole Tramiti, le splendide Diomedee. Ed è lungo questo tratto che si sviluppa la vitivinicoltura molisana, quella nata negli anni ’60 con le due Cantine cooperative Valbiferno e Nuova Cliternia e la prima delle moderne cantine private, la Di Majo Norante, che continua, non più da sola, a rappresentare l’immagine dei grandi vini molisani.

Oggi sono più di 25 le cantine del Molise (quattro a carattere cooperativo), la gran parte delle quali nate in questi primi anni del terzo millennio, tutte nelle mani di giovani viticoltori, con le donne vere protagoniste di quello che noi consideriamo un vero e proprio Rinascimento del vino molisano. Un’esplosione d’iniziative stimolata anche dal recupero del suo vitigno autoctono, la Tintilia e il riconoscimento Doc dato al suo vino che, insieme al Moscato di Montagano, è parte della memoria e dell’immaginazione dei molisani. In particolare di quelli del centro e alto Molise che, soprattutto per ragioni climatiche, hanno adottato questo vitigno dalla buccia rossa, resistente al freddo, alle muffe, alle avversità e, soprattutto, tinto, cioè rosso, in un’area da sempre segnata da piccoli fazzoletti di vigne ricamate di grappoli d'uva a bacca bianca.
Un’adozione avvenuta poco più di due secoli fa, alla fine del ‘700, al tempo del Regno di Napoli nelle mani dei Borboni e il Molise rappresentava, con i suoi 24 mila ettari, la provincia più vitata.
 
 
 
 
Un vino, la Tintilia, che la moderna viticoltura degli anni ‘60 stava per cancellare. Poi, per fortuna recuperato e portato a diventare il testimone di un territorio, segnato ovunque da viti e olivi, da boschi e campi coltivati con un colore dominante, proprio del Molise, il verde, che qui è particolare. Il “verde molise” che, con gli altri colori dell’arcobaleno, colora la Farfalla Molise, un piccolo ma prezioso tassello del mosaico Italia, incastonato tra l’Adriatico a est e il Lazio a ovest, la Campania a sud ovest; l’Abruzzo a nord e la Puglia a sud est.
 
La vitivinicoltura del Molise, pur rappresentando, con i suoi 5,5 mila ettari di vigneto, poco meno dell’1% della vitivinicoltura nazionale, comincia, grazie ai successi nei vari e più importanti concorsi e alle segnalazioni di opinion leader, a stupire l’esperto e il consumatore, anche il più esigente. Insieme alla Tintilia, il suo Montepulciano, che rappresenta la base dei vini rossi e il suo Trebbiano, che è tanta parte dei vini bianchi, e, ancora, Falanghina, Aglianico, Chardonnay, Moscato, Malvasia, Cabernet, Greco, i Pinot e il Bombino, nobili vitigni tutti raccolti in quattro Doc (Biferno, Pentro o Pentro d’Isernia, Molise e la già citata Tintilia) e in due Igt (Rotae, in provincia di Isernia e Osco o Terre degli Osci, in provincia di Campobasso).
Risultati importanti non solo perché inseriscono il Molise del vino nel Gotha dell’enologia italiana, ma perché acquistano un particolare significato e valore, nel momento in cui riconoscono a questa piccola regione un ruolo nel campo della vitivinicoltura nazionale, con i riconoscimenti che esprimono l’eccellenza della qualità e del territorio che ne certifica l’origine.
 
Vigneti in agro di Campomarino (CB)
 
Una magnifica occasione per l’immagine del Molise che pochi conoscono, nonostante l’attualità di questa piccola grande regione, quale fonte di storia e di cultura (i Sanniti, i Frentani; l’Homo Aeserniensis di 800 mila anni fa; Altilia, e le città d’arte come Larino, Agnone e Venafro); ricca di agricoltura e di ruralità; forte di ambienti e di paesaggi di straordinaria bellezza, di prodotti e di tradizioni, in particolare quelle culinarie.
I suoi piatti sono segnati dalle stagioni, dall’orto, dall’olio Gentile di Larino e Aurina di Venafro, dal tartufo bianco che la fa primeggiare in campo nazionale, dal maiale trasformato in “Ventricina” e “Pampanella”, dalle pecore e dagli agnelli, dal mare, che ha nel suo brodetto di pesce l’esaltazione della cucina marinara, il piatto più particolare, che ogni buongustaio dovrebbe assaggiare.
Un Molise da visitare per vedere le sue bellezze e degustare i suoi grandi vini abbinati ai sapori dei piatti di una cucina semplice, mai banale; incontrare i giovani produttori entusiasti di questo loro impegno e scendere con loro nelle cantine scavate nel tufo o nell’argilla; sentire l’eco del tempo che porta il passo delle mandrie e dei greggi nel loro andare (trac) e tornare (tur), il trat-turo della transumanza, alla ricerca di quella straordinaria e vitale fonte di energia che è il cibo.

Pasquale Di Lena



 

lunedì 3 settembre 2012

CARTOLINA ENOICA DEL MOLISE

 
 
 
 
 
E' appena uscito il tanto atteso libro di Adriano Del Fabro "Abbecedario dei vini d'Italia" pubblicato al prezzo di copertina di 12 euro dalle Edizioni Del Balbo di Verona, che, di recente, ha aperto due punti vendite, una nella città scaligera ed un'altra nelle Marche, in quel luogo di mare incantevole che è Alba Adriatica.Un racconto affascinante di 317 pagine, suddiviso per regioni, che parla di borghi, cantine e grandi vini di questo nostro Paese che, nonostante i ridimensinamenti degli ultimi anni, resta pur sempre l'Enotria tellus, la terra degli Enotri, il popolo che milleni fa sbarcò sulle sponde dello Ionio in quella fascia ampia di territorio - l'attuale parte sud della Puglia, la Basilicata e quasi tutta la Calabria - che prese poi il nome di Magna grecia.

 

 
 

C'è il Molise con i suoi vini a denominazione di origine a rappresentare quella nuova realtà nata agli inizi di questo secolo con oltre 25 aziende imbottigliatrici, in mano a giovani con le donne grandi protagoniste, che fanno credere nel futuro di questo comparto e nel suo ruolo di trascinamento delle altre produzioni e delle attività ad esse legate.La "cartolina" è stata firmata da Pasquale Di Lena, noto esperto di vini e di gastronomia italiana, che come per altre occasioni riesce a far splendere i colori del Molise e a renderli espressioni di immagini che, con la Tintilia e la Pampanella, Altilia e il Bodetto alla termolse, la ricca ruralità, sanno cogliere le attenzioni del lettore e far vivere il piacere di una Regione che pochi conoscono e sanno dov'è.
 
 
 
 
 
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